La crisi di cui tutti noi parliamo sembra avere una matrice unicamente economica. Ma le cose stanno realmente così, o ci troviamo a vivere una crisi più profonda? Ne parliamo con Vincenzo Loriga, profondo conoscitore dell’animo umano, sia per le sue nozze d’oro con la professione di psicoanalista (ha studiato al C.G. Jung Institut di Zurigo, cittadella del pensiero junghiano, ed è stato allievo diretto di Ernst Bernhard) sia per il suo essere scrittore: è da poco uscito infatti la sua ultima opera, “Lisboa Antigua”, edita da I Quaderni del battello Ebbro, un lungo monologo che raccoglie tutto il suo pensiero, mescolando poesia e monologo interiore.
Parliamo allora della crisi…
“Non credo che la crisi economica incida direttamente sui valori: essi sono già stati menomati da un certo modo di vedere il mondo. Ad un certo momento tutti si sono abituati a vedere la vita in una chiave di successo: l’immagine è diventata preponderante anche grazie alla tv. Il nostro scenario politico presenta comunicatori come Grillo, Renzi e Berlusconi che hanno un’altissima capacità di comunicare sfruttando i punti più sensibili del pubblico”.
E quali sarebbero?
“Oggi la gente vuole un leader, ed è sbagliato pensare che sia un errore, che questo sia l’anticamera del fascismo, perché essa è rappresentata se mai un da governo debole. Nella storia dell’Occidente ha sempre funzionato un doppio impulso: da una parte devi essere razionale, ma nello stesso tempo, in talune circostanze, devi fare qualcosa anche se questo qualcosa non ha in realtà basi razionali. Nel primo caso sarai la spalla di un leader, ma non un leader”.
La nostra epoca ha un modello dominante?
“Direi che l’epoca cosiddetta moderna è stata anche un’epoca faziosa, con moralismi che a volte si sono riverberati sul piano estetico e hanno influenzato la politica. La scomunica non è stata un fenomeno solo legato alla chiesa: c’è stata nella psicanalisi con le prime scissioni: prima Adler e poi Jung si sono allontanati da Freud, e c’è gente che si è suicidata per la sofferenza dell’allontanamento. È successo nella Russia comunista con gente che veniva cacciata o che era costretta ad andarsene, con persecuzioni e assassinii. La grande poetessa Cvetaeva è stata una delle tante vittime”.
Gli amanti delle etichette ci ammoniscono: non si deve parlare più di moderno, ma di post-moderno.
“Il post moderno ha allentato i vincoli imposti dalla cosiddetta modernità, per cui ci sono meno dogmi culturali: se avessi scritto ‘avea’ nella modernità degli anni quaranta, sarei stato fatto a pezzi, oggi lo posso fare senza scandalizzare nessuno. Siamo in un mondo dove il sublime e l’infimo si mescolano tranquillamente”.
Il senso del religioso è in crisi?
“No, anzi: Il senso del religioso è stato riscoperto sotto nuove forme, come la new age, e con l’ attenzione alle religioni asiatiche. Ma anche il cristianesimo conosce un nuovo momento di popolarità: l’attuale Pontefice sa gestire molto bene il senso del religioso. Ammiro molto la sua intelligenza e la sua lungimiranza”.
Oggi si pone la grande questione del rapporto tra scienza e fede.
“Penso che gli atei convinti e rumorosi siano poco intelligenti. Sono praticamente dei credenti al negativo: un comportamento di questo tipo non porta, direbbe Pascal, da nessuna parte: ti esponi semplicemente alle sciagure della vita senza saper cosa fare e cosa pensare, perché acquisisci una visione negativa del mondo”.
E lei personalmente?
“Io desidero cercare ed essere libero in questa ricerca. Non mi converto perché non posso rispondere del mio cervello, ma posso rispondere del mio cuore”.
E il suo cuore cosa le dice?
“Ci sono momenti, nel rito religioso, o anche solo nel suono delle campane, che possono ancora commuovermi. C’è anche un profondo elemento cristiano in me, perché avverto profondamente che nel cristianesimo ci sono due cose che nessuna altra religione possiede: il ‘chi è senza peccato scagli la prima pietra’, che non è esplicitato chiaramente nelle altre fedi, il ‘Bussate e vi sarà aperto’: è un appello di una forza incredibile che trasforma il tuo modo di vivere in modo determinante”.
Cosa deve fare l’uomo per evitare le secche del materialismo?
“Credo che però la cosa più importante sia quella di privilegiare l’arte. La mia vita si è basata in gran parte sulla mia professione di psicanalista, ho avuto riconoscimenti, ho scritto libri scientifici, ma mi sono sentito davvero riconosciuto solo quando i miei amici hanno cominciato ad apprezzare le mie poesie”.
L’arte come vera terapia?
“L’arte è una delle strade percorribili. Freud diceva anzi che l’arte è l’unica forma di spiritualità che regala all’uomo momenti di pace. Io credo che la poesia, la scrittura, aiutino moltissimo. Quando leggo o scrivo poesie sono un uomo felice, poiché la poesia è più radicata della musica nel terreno dell’uomo, la parola ha il suo peso, è reale, potentissima. Il linguaggio è un secondo inconscio, che però proviene dall’alto, a differenza dell’altro inconscio che viene dal basso delle pulsioni”.
Più forte dell’analisi è dunque la poesia?
“L’analisi è la scienza della soglia, che si arresta dove comincia il bello”.