Quello che resta

Sono sincera, non ho mai adorato Sanremo, ma conosco il perché. La mia giovinezza mi ha precluso i suoi anni d’oro, quando era ancora chiamato il Festival della Canzone Italiana, e così non mi sono affezionata, non ho avuto il tempo di imparare a volergli bene. Lo conosco perché quando ero piccina hanno calcato il palcoscenico artisti del calibro di Elisa (vincitrice con “Luce” nel 2001), quello stesso palco che ha fatto da trampolino di lancio per altri artisti italiani a me cari, una tra i tanti Carmen Consoli con la dolcissima canzone d’esordio “Quello che sento”.

LA MAGIA DI UNA VOLTA

Il mio personale immaginario si ferma alla mia infanzia ma ho appreso che prima il Festival era qualcosa di più… Era magia. Ha fatto la storia, quella che ho visto brillare negli occhi di mio padre quando mi parlava della sua canzone napoletana preferita, e di “Ma la notte no” di Renzo Arbore, che davano alla radio nel suo bar, e in tutti i negozi di Bergamo, ai suoi tempi. Appunto, ai suoi tempi. Ora Sanremo sembra non essere più il centro nevralgico della canzone italiana giovane e di qualità, ma piuttosto una raccolta di medley di vecchie star e di ospiti stranieri di rilevanza mondiale, ma non di certo inediti. Mi sono riavvicinata a questa trasmissione proprio per provare a carpirne il valore, nella valle di lacrime della totale diserzione (o quasi) di tutti i miei amici. Ho trovato i punti deboli e i punti di forza nella sua metamorfosi, giungendo ad una probabile sua ridefinizione. La qualità dei testi delle canzoni non è alta, a volte è addirittura stucchevole, banale e retorica. Le canzoni più apprezzate risultano infatti quelle più orecchiabili e c’è una terza categoria, quella della canzone che non ha né un buon testo né una buona melodia ritmata, che ha finito per meritarsi l’aggettivo di “sanremese”.

NON E’ UN FESTIVAL PER GIOVANI

Avete ascoltato le canzoni dei giovani? Ecco, a parte il vincitore Rocco Hunt le altre sono un po’ lente e melodiche, con un testo scarso. Diciamocelo, i giovani non ascoltano questo genere di musica, e naturalmente sul finire del programma preferiscono andare a dormire piuttosto che resistere per questo genere di premio. L’obiettivo del festival, quello di promuovere la qualità dei musicisti e cantanti giovani è stato di gran lunga disatteso, e allora mi trovo dalla parte di chi si diverte a discutere su tutto ciò che ci si è messo dentro per colmare il vuoto, e che l’hanno reso, in conclusione, un grande varietà: scenette melense, look sfortunati, tentativi di omaggio ai grandi cantautori italiani e stranieri, anche se alcuni intensi e ben riusciti, interventi dei presenter, magiche odi alla bellezza e mirabolanti atti di comicità alla Littizzetto.