Mamma li Turchi

Nelle mie letture di svago ho trovato che la campana dell’Angelus di mezzogiorno suona in tutte le chiese della cristianità a partire dal 1456 per ordine di Papa Callisto III contro la minaccia dell’invasione dei Turchi… Questa piccola “scoperta” mi ha provocato una raffica di riflessioni.

NON SOLO CAMPANE E AVEMARIE

Ho pensato innanzi tutto ai nostri Leghisti, così culturalmente e politicamente impegnati (più dei cattolici doc, più dei preti e dei vescovi e più del Papa stesso) nella difesa della nostra millenaria civiltà cristiana contro il devastante pericolo islamico. E m’è parso di sentirli dire con il sardonico sorriso del loro Segretario, on. Salvini: «Contro Turchi e Saraceni sappiamo bene noi cosa ci vorrebbe. Altro che campane e avemarie!».

Oddìo, per parare l’espansionismo islamico, Papa Callisto stesso non si limitò a far suonare campane e indire preghiere, ma, come pareva ovvio a quei tempi, sollecitò i principi cristiani a scendere in campo sia militarmente che politicamente e, è bene precisarlo, non lo fece perché fosse un bieco guerrafondaio, ma perché allora il Papa aveva una funzione per certi versi simile a quella dell’attuale segretario dell’ONU, a cui compete di promuovere la salvaguardia dell’ordine internazionale.

C’è da dire che qualche successo Callisto III lo ottenne anche dal punto di vista militare e politico. La battaglia di Belgrado, ad esempio, nello stesso 1456, segnò un bello stop all’avanzata turca verso il cuore dell’Europa. Lo stesso vale per la vittoria navale di Lepanto nel 1571, che pose praticamente fine allo strapotere turco nel Mediterraneo. Siamo sotto il pontificato di San Pio V. Il pericolo turco in Europa inizia a declinare con la vittoria degli alleati polacchi-austro-tedeschi a Vienna nel 1683, al comando del re polacco Giovanni Sobiescki, sotto il pontificato del Beato Innocenzo XI.

“Mamma, li Turchi!” era il grido che si levava in quei secoli all’arrivo degli eserciti invasori dell’impero ottomano, o di fronte alle scorribande devastatrici dei pirati saraceni.

Oggi ci troviamo di fronte al preoccupante fenomeno del risveglio del mondo islamico e della sua forte tensione verso il mondo occidentale. C’è da parte loro un forte senso di rivincita contro il colonialismo. Dopo le loro guerre di indipendenza, ora si vendicano con il ricatto del petrolio. Ma qui la religione non c’entra: siamo in campo economico-politico. Contemporaneamente però nel mondo islamico c’è anche un notevole “risveglio” religioso, che, va detto, sta sconquassando prima di tutto le loro stesse società civili e le realtà statali. Poi, certo, l’obbiettivo ultimo di questi fondamentalisti è l’islamizzazione del mondo a qualsiasi costo. E questo preoccupa seriamente i cristiani, perché, nel passato, dove è arrivato l’islamismo è sparito il cristianesimo. Vedi Africa del Nord e Turchia.

Ultimo fatto da mettere in conto è l’imponente fenomeno migratorio, con la più vistosa e tragica manifestazione nell’assalto dei barconi carichi di disperati all’isola di Lampedusa.

SENZA INGENUITÀ

Di fronte al riproporsi dell’espansionismo economico-politico islamico anche noi cristiani non possiamo ignorare la complessità del problema e la ruvidezza delle realtà di fatto. Non possiamo quindi porci ingenuamente e semplicisticamente in modo astratto, settoriale, con generiche esaltazioni della solidarietà. Possiamo certo anche noi chiedere ai politici, sia nazionali che sovranazionali (vedi ONU) un serio impegno per battere il terrorismo e per arrivare alla soluzione politica e diplomatica delle tensioni internazionali.

Il discorso sull’immigrazione invece è di natura del tutto diversa. Tuttavia, anche qui, come tutti i cittadini italiani anche noi cristiani dobbiamo porci di fronte a questo fenomeno colossale e (nota bene) sicuramente non provvisorio, con intelligenza, con serietà, con lungimiranza, con senso di responsabilità… Già l’evitare la superficialità, le generalizzazioni e il facile pregiudizio è un non piccolo dovere per dei cristiani. Poi, possiamo chiedere anche noi cattolici leggi chiare e sicure a regolamentare l’imponente flusso migratorio; senza dimenticare però che un conto è chiedere una regolamentazione seria con animo chiuso e ostile e un altro conto è chiederla con animo positivamente disposto all’accoglienza. A sostegno di questo, ci gioverà ricordare – come raccomanda la Bibbia (Lv 19,34) – che anche noi siamo stati un popolo di emigranti e che dovremmo avere verso i nostri immigrati quegli atteggiamenti che i nostri emigranti di un tempo si auguravano da parte dei paesi ospitanti (Svizzera, Francia, Germania, USA…).

LA PREGHIERA CHE NON GUASTA

Detto e ben ribadito questo, il card. Biffi in un suo intervento qualche anno fa, ricordava ai cristiani che «di fronte a un uomo in difficoltà quale che sia la sua razza, la sua cultura, la sua religione, la legalità della sua presenza, [quindi anche nel caso che si tratti di clandestini! n.d.r.] i discepoli di Gesù hanno l’obbligo di amarlo operosamente e di aiutarlo a misura delle loro concrete possibilità».

Inoltre, ricordava sempre il Cardinale, ci tocca la missione dell’annuncio del Vangelo, di far conoscere cioè a tutti esplicitamente Gesù di Nazaret, unico Salvatore dell’umanità intera». Non si tratta di fare del proselitismo, che secondo Papa Francesco, è del tutto fuori luogo, ma di vivere la nostra fede con autenticità, per cui è impossibile non manifestarla con gioiosa naturalezza.

Il Vescovo Amadei in un suo discorso affermava, a sua volta, che la vicinanza di tante persone di altra religione, specialmente gli Islamici, avrà come effetto positivo di portare noi cattolici a ripensare e a confermare il nostro essere cristiani con sempre maggiore motivata convinzione.

È qui che torna utile anche la preghiera che può portare ad affrontare questi problemi in sintonia di cuore con il Signore. E anche la campana di mezzogiorno, che ha cominciato a suonare quando la gente gridava “Mamma, li Turchi”, potrebbe farci mettere (perché no?) ogni giorno davanti alla Madonna, proclamata in quel contesto “Aiuto dei cristiani”, non per sostenerci nelle nostre presunzioni e nelle nostre paure, ma per aiutarci a costruire nel dialogo e nella buona volontà, pur senza ignorare tutte le difficoltà del caso, una convivenza giusta e pacifica. Riconosciamolo: davvero anche qui un po’ più di preghiera non guasterebbe.

Dopo aver letto in anteprima questa pagina del mio diario, il parroco di Belsito mi ha chiesto: Come mai per noi parroci è così difficile parlare di queste cose? Voi che ne dite?