Preti per domani

«Senza il riparo del sacro e del prestigio sociale che in passato ne derivava il prete oggi è totalmente esposto alle fatiche e alle frustrazioni di un impegno totale spesso senza riconoscimento e senza gratificazioni. Avrebbe bisogno di amicizia, di affetti … per non rischiare di essere travolto. Ma amicizia e soprattutto gli affetti rischiano di mettersi in collisione con l’obbligo del celibato».

Come annunciato, riporto qualcuna delle moltissime considerazioni di laici, uomini e donne, che mi sono pervenute dopo la pubblicazione dell’articolo sulla “crisi del prete” apparso sul Santalessandro due settimane fa. Alcune possono apparire parziali e ruvide e lo sono certamente. Raccontano però una passione grande per la Chiesa. Per questo non possono essere ignorate troppo in fretta.

Mi scrive un’amica, da molti anni impegnata con generosità nell’animazione pastorale della sua comunità: «Quello che ho visto nella figura del prete è che tanti, tanti preti sono ridotti a erogatori di servizi, la vita solitaria li ha trasformati spesso ad essere uomini aridi e non coinvolti nelle vite degli altri; non sono abituati alla cura, non sono abituati a curarsi… Avete mai visto le case dei preti? Fredde o perfette, comunque, quasi mai vissute, non spazi accoglienti..il prete solo non cucina né per sé né per altri, non ha capacità relazionali quotidiane, quelle in cui ci si allena ogni giorno nelle famiglie, quelle che ti fanno trasformare, quelle che ti obbligano a fare i conti con l’Altro davvero… ».

«Non esiste di certo il prete ideale, né come uomo né come ruolo; ma esistono persone che, per ruoli, compiti e vocazioni diverse, possono dare vita (o morte) alle comunità degli uomini rappresentando “nel mondo ciò che l’anima è nel corpo” (Lettera a Diogneto)».

PRETI E LAICI

«Il mio prete è esperto di Concilio. Quante volte lo cita! Sul Concilio ha fatto anche la catechesi. Eppure non vedo in comunità nessuna maturazione dei laici. Tutto passa al suo vaglio ed è lui, solo lui, che decide. Le assemblee parrocchiali sono effluvi di parole (sue) che ti stordiscono. A parole conciliare, nei fatti tridentino!».

«Nella nostra parrocchia i laici sono più sudditi che collaboratori».

«Mi ritornano alla mente le parole del mio parroco che sul giornalino parrocchiale concludeva la sua riflessione sull’anno pastorale con un invito: “Adulti della nostra comunità: aiutiamoci a scoprirci ‘donne e uomini capaci di Vangelo’, capaci di gustare la vita!”. Proponeva ai credenti che vivono nella parrocchia, in attuazione della lettera pastorale 2013-2014 del nostro vescovo, un cammino di fede per tutti e per ciascuno, sacerdoti compresi. Un invito all’assunzione piena di responsabilità nel proprio personale cammino di fede – che è relazione con nostro Signore, innanzitutto, con sé e gli altri – ma anche sentire la crescita delle relazioni comunitarie e della nostra Chiesa – con una attenzione speciale ai giovani e ai poveri – come un impegno che ci è proprio, comune e di tutti, pur nella pluralità dei carismi e dei ruoli/funzioni. Laici e consacrati che si aiutano a scoprirsi ‘donne e uomini capaci di Vangelo’, ‘capaci di gustare la vita!’. Centrale è la capacità di ascolto che fa cogliere i volti e le esperienze e gli stili innovativi che si generano nella vita della comunità. Ai sacerdoti e le suore – che per fortuna continuano ad essere particolari punti di riferimento nella comunità – è richiesto uno stile di vita e di relazioni che testimoni il vivere fraterno e riconciliato (innanzitutto tra loro!)».

PRETI E PRETI

«L’esperienza nelle nostre parrocchie, nelle parrocchie vicine e nei vicariati è che i preti sono assolutamente incapaci di lavorare insieme».

«Ho avuto un figlio in seminario. Sono rimasta colpita dalla cura e dalla dedizione di gran parte dei sacerdoti che gli sono stati vicini. Eppure guardandomi attorno mi chiedo come sia stato possibile in questi anni ordinare sacerdoti come alcuni che mi è capitato di incontrare. E poi ha ancora senso il seminario come è strutturato qui da noi? So che ne stanno discutendo in Consiglio Presbiterale Diocesano. Perché la questione non deve riguardare la Chiesa bergamasca nel suo insieme?».

«Si pretende dal sacerdote che sia non solo un dispensatore di servizi sacramentali e organizzativi ma anche amministratore, psicologo, consulente famigliare ecc. ecc. Ma chi gliele fornisce tutte queste competenze? Cosa viene insegnato in seminario che sia utile strumento per affrontare le variegate sfide che incontra? Il peso di tutte queste responsabilità aggiuntive può togliere serenità e risorse alla stessa opera pastorale. Non è normale che tali incombenze impediscano, sovente, l’esercizio stesso delle più elementari opere di misericordia».

RELIGIONE O FEDE

«Forse è davvero faticosa ammissione che siamo tutti poveri e che i nostri preti sono poveri proprio e più di noi laici… Ecco bisogna partire dalla povertà, nel senso di sentirsi poveri, invece spesso i preti sono molto, troppo sicuri di sé… Spingono al devozionismo rigido perché forse è più rassicurante e purtroppo tanta gente chiede esattamente cose facili , rigide, non coinvolgenti….. Non fede ma religione».

NON SPECIALISTI DEL SACRO

«Non abbiate paura: i carismi diffusi a piene mani nel popolo di Dio vanno valorizzati e promossi. Sarà un vantaggio reciproco – per laici e sacerdoti – il superamento del clericalismo che spesso dà l’impressione di essere il risultato di una comoda delega che deresponsabilizza e di una concezione “tecnica” dove gli specialisti del sacro devono, in ultima analisi, essere i soli esperti e responsabili della vita della propria comunità».

«Mi piacerebbe un prete (e quindi anche una comunità cristiana): con una buona preparazione (teologica, filosofica, psicologica..); che ogni giorno si confronta con la Parola; che sta nella preghiera e nel silenzio; aperto all’ascolto e al dialogo; che vive in una piccola comunità (di preti e non solo); che coinvolge e sia in grado di delegare; che si senta in cammino fratello tra fratelli; che abbia uno sguardo buono e bello sul mondo…».

«Il compito del prete? Azione pastorale e di governo di una comunità che si sforza di responsabilizzare e di far crescere e che sa di dover aiutare a vivere la fede laicamente nella società testimoniando il Vangelo».

«Non penso che ci sia un futuro per il prete, per la Chiesa, per la comunità dei credenti… se non tornando al vangelo, nudo e crudo rischiando “lo sbaglio” di Gesù, cioè, ponendo segni concreti come i suoi (“guarite i malati, cacciate i demoni, andate senza denaro, né sandali…”), spogli da ogni simbolo di potere. Insieme, sì, insieme, con uomini e donne, e non perché i preti sono diventati pochi, ma perché quello è il sogno di Gesù, così come lui lo ha vissuto, con uomini e donne in carne ed ossa. Altrimenti, il futuro ci sarà, forse, ma con minuscola, un futuro di vangelo annacquato, di Chiesa che non dice niente, di vita religiosa addomesticata, di comunità ecclesiale rituale e routinaria . Un futuro, insomma, di religione, ma non di vangelo. E se per costruire questo futuro fosse così essenziale la veste talare o altri “arredi” che addobbano le nostre chiese, il primo a “travestirsi” e a procurarsele sarebbe stato Gesù. Ma questo non mi risulta».