Personalmente, per quel poco che può contare, sono decisamente contrario alle omelie con dibattito, che ho visto segnalate anche dal nostro settimanale.
Così pure, benché lontanissimo dal poter esprimere valutazioni sui teologi della Facoltà di Milano, concordo pienamente con la loro rigorosità nel “segare” agli esami i seminaristi che non sanno distinguere tra ANNUNCIO, PREDICAZIONE, CATECHESI. Sarebbe come se agli esami di scuola alberghiera si lasciasse passare chi facesse confusione tra antipasto, primo, secondo e dessert.
Ma torno subito al discorso sull’omelia. Ne ho già scritto in una precedente puntata, ma, provocato dalla segnalazione delle omelie con dibattito, sento l’impulso di tornarci sopra.
Sono certo che i quattro gatti che mi conoscono, leggendomi, diranno che da incendiario sono finito pompiere. Non m’importa. Dicano quello che vogliono. Le mie attuali convinzioni sono la sintesi di ciò che ho studiato a scuola e anche in seguito, di quello con cui i Papi e i Vescovi hanno accompagnato la mia vita di cristiano e di pastore, di quello che, importantissimo, mi ha insegnato la vita.
LA CHIESA NON È DEMOCRATICA
Ed è proprio soprattutto l’esperienza che mi ha portato alle convinzioni che ho attualmente a riguardo della liturgia e, in particolare, dell’omelia. L’omelia non è un tipo qualsiasi di predicazione. Fa parte integrante della celebrazione eucaristica e quindi non ne posso disporre a piacimento. Ho visto con i miei occhi dopo il Concilio i danni del non distinguere tra creatività liturgica (consentita e incoraggiata) e avventurismo e, in molti casi, vero libertinaggio liturgico. In quei tempi la giusta e dove-rosa promozione dei laici era da molti malauguratamente scambiata con la pretesa di una Chiesa democratica, quando invece è biblicamente evidente che la Chiesa non nasce per volontà popolare, ma nasce per convocazione del Signore.
In quel contesto ho personalmente toccato con mano quanto le omelie con dibattito portassero lontano da un’autentica celebrazione dell’Eucaristia ed esponessero al pericolo di pensare che la verità era il risultato della libertà di opinione della base.
È lì che ho capito quanto sia saggio quello che è scritto nelle premesse (prænotanda) del messale a riguardo dell’omelia. «L’omelia, sia che spieghi la parola di Dio annunziata nella sacra Scrittura o un altro testo liturgico, deve guidare la comunità dei fedeli a partecipare attivamente all’Eucaristia». In parole povere, l’omelia è fatta per aiutare la comunità a collegare il Vangelo attuatosi in Cristo “in illo tempore”, con il Cristo vivo e presente oggi nell’Eucaristia che culmina nella Comunione, prima di tornare all’impegno di ognuno nella vita e nella storia.
FEDE E ASCOLTO. PAPA FRANCESCO
La fede viene dall’ascoltare non dal discutere e dal dibattere. I momenti (necessari e fortemente raccomandabili) per discutere e dibattere, o, meglio, per dialogare sulla Parola sono altri (gruppi del Vangelo, Lectio divina,…), ma lì, nell’omelia, si ascolta la Parola (nelle letture) e il commento del celebrante, per prepararsi convenientemente alla Comunione sacramentale con il Cristo presente, che è lo stesso ieri, oggi e sempre.
Papa Francesco tratta a lungo di questo tema nell’Evangelii gaudium (nn. 135-144) dove mi pare che, tra l’altro, risponda anche a prevedibili obbiezioni favorevoli all’omelia con dibattito.
Il Papa innanzi tutto fa notare con una sfumatura di ironia che «i fedeli danno molta importanza all’omelia; ed essi, come gli stessi ministri ordinati, molte volte soffrono, gli uni ad ascoltare e gli altri a predicare. È triste che sia così».
Ma poi il Papa continua illustrando da maestro la materia: «La proclamazione liturgica della Parola di Dio, soprattutto nel contesto dell’assemblea eucaristica, non è tanto un momento di meditazione e di catechesi, ma è il dialogo di Dio col suo popolo… il momento più alto del dialogo tra Dio e il suo popolo, prima della comunione sacramentale…
L’omelia non può essere uno spettacolo di intrattenimento, non risponde alla logica delle risorse mediatiche, ma… si tratta di una predicazione dentro la cornice di una celebrazione liturgica; questo stesso contesto esige che la predicazione orienti l’assemblea, ed anche il predicatore, verso una comunione con Cristo nell’Eucaristia che trasformi la vita…».
A questo punto il Papa fa delle osservazioni interessantissime che aiutano sia il predicatore sia gli ascoltatori a considerare l’omelia nel modo giusto: «La Chiesa è madre e predica al popolo come una madre che parla a suo figlio… Lo spirito d’amore che regna in una famiglia guida tanto la madre come il figlio nei loro dialoghi, dove si insegna e si apprende, si corregge e si apprezzano le cose buone; così accade anche nell’omelia…. Anche nei casi in cui l’omelia risulti un po’ noiosa, se si percepisce questo spirito materno-ecclesiale, sarà sempre feconda, come i noiosi consigli di una madre danno frutto col tempo nel cuore dei figli».
Avviandosi alla conclusione il Papa dà, a mio parere, il suo contributo in ordine al nostro problema sull’omelia con dibattito: «Il predicatore ha la bellissima e difficile missione di unire i cuori che si amano: quello del Signore e quelli del suo popolo… Durante il tempo dell’omelia, i cuori dei credenti fanno silenzio e lasciano che parli Lui. Il Signore e il suo popolo si parlano in mille modi direttamente, senza intermediari. Tuttavia, nell’omelia, vogliono che qualcuno faccia da strumento ed esprima i sentimenti, in modo tale che in seguito ciascuno possa scegliere come continuare la conversazione».
Immagino che qualcuno troverà in questo mio scritto motivi per considerarmi un inguaribile clericale, nemico della libera espressione dei laici. Lascio dire. Ma, per favore, non tacciamo di clericalismo Papa Francesco, che ha fatto proprio del clericalismo uno dei suoi bersagli più colpiti. Eppure sembra chiaramente non favorevole alle omelie con dibattito.