Elezioni a Bergamo. Bilancio di fine campagna

L’augurio è che la campagna elettorale per il sindaco di Bergamo non sia ricordata solo per la veranda abusiva di Giorgio Gori, candidato del centrosinistra. Fosse così, saremmo al di sotto dei minimi sindacali. In realtà polemiche e veleni hanno oscurato un dibattito che, per quanto non abbia fatto sognare, è stato serio e dedicato ai temi concreti. Poi possiamo dire (sbagliando per supponenza) che si poteva fare di più e di meglio, ma qui si sconfina nel benaltrismo: ci vuole ben altro rispetto alle strisce pedonali, agli asili nido, al vigile e a quant’altro, alle presunte banalità quotidiane.

GORI VS TENTORIO

Alla fine – in un quadro in bilico tra qualche certezza e molte incertezze – abbiamo capito meglio quel che era già chiaro all’inizio, cioè la linea di confine degli universi simbolici e programmatici: Franco Tentorio, sindaco uscente e candidato del centrodestra, si muove nel segno di una continuità che andrà aggiornata e rivista nel quadro delle compatibilità delle finanze pubbliche e che promette di essere carburata almeno da una modica quantità di coraggio e dall’assunzione del rischio; Gori, renzianamente, si propone come l’uomo del cambiamento, di colui che qui e subito intende cambiar verso alla città. Continuità contro innovazione. Al di là dei programmi, che solitamente valgono per quel che valgono e che poi si rivelano nella prassi a geometria variabile e archiviabile, è dunque esplicito il senso di marcia dei due principali contendenti. E come ci arrivano all’appuntamento di domenica?

LA LEGA CONTRO GORI: GOL O AUTOGOL?

Gori ha accusato inizialmente il botto del cecchinaggio della Lega fatto di dossier, l’impressione però è che stia rimontando: partiva svantaggiato rispetto a Tentorio, ma il blitz di Renzi a Bergamo ha galvanizzato truppe e retrovie e il colpo d’occhio è che abbia segnato un punto di svolta psicologico favorevole al centrosinistra. La questione della veranda (un pacco dono rifilato con cura da mani esperte) è comunque un problema per Gori, pur ricordando il senso delle proporzioni riferito all’oggetto del contendere. Gli attacchi personali, che denotano una mancanza di stile, sono certo sgradevoli ma la campagna elettorale non è un pranzo di gala: i calci negli stInchi, i colpi bassi vanno realisticamente messi nel conto, specie se il bersaglio mobile si chiama Gori. Si sapeva da tempo che la Lega con l’elmetto avrebbe investito sul fattore R (ricchezza) del manager e le domande da rivolgere al destinatario sono queste: ha sottovalutato la minaccia, è stato superficiale, si è trovato impreparato? Poi, intendiamoci, la ricaduta nell’urna è tutta da dimostrare, per ampiezza o per irrilevanza, anche perché iniziative di questo genere possono avere controindicazioni, cioè rivelarsi un autogol: non necessariamente il pacco dono lumbard è un assist per Tentorio. Proviamo a spiegarci. Il raid corsaro della Lega non si rivolge tanto al centrodestra quanto ai malpancisti del Pd e all’altra sinistra che, in caso di ballottaggio, non è disponibile a votare Gori: neppure turandosi il naso.

LOTTA DI CLASSE POPOLANA, PADANA E DATATA

Se proprio vogliamo dargli un fondamento sociologico, il dossieraggio, un po’ improbabile lotta di classe popolana e un po’ invidia sociale, nell’intento di ricordare che la sinistra radical chic, ovvero salmonata, è sempre fra noi, sembra segnalare il tradimento di un ricco che sceglie la sinistra: in fondo, s’intuisce dalla mossa padana, l’ambiente naturale dei ricchi è lì, a destra. Dunque, come si permette il compagno G.? Il passo di carica sotto le insegne del fattore R corre sul terreno scivoloso del pregiudizio, ma indica pure una lettura datata e piuttosto grossolana della composizione e del dinamismo dei ceti bergamaschi. E qui entra in gioco Tentorio: nel centrodestra chi detta l’agenda, lui o la Lega? Una tendenza accentuatasi in questi ultimi mesi vede sempre più la figura dell’attuale inquilino alla guida di Palafrizzoni sovrapporsi senza alcuna distinzione a quella del Carroccio, percepito oggi come il principale sponsor del sindaco: fino a che punto questa posizione è remunerativa per lui? Può darsi che questo giudizio sia sbagliato, ma il patronage della Lega, forse al di là delle stesse intenzioni di Tentorio o suo malgrado, lascia intuire la debolezza della coalizione, cioè di quello che dovrebbe essere il perno della schema del centrodestra: Forza Italia, rimasta in queste settimane sullo sfondo, nel recinto di una posizione difensiva, quasi il riflesso di un declino che si preannuncia nell’urna.

TENTORIO, LA SIMPATIA E LA COALIZIONE DI CENTRODESTRA

Tentorio, per la sua storia e per il suo profilo più di amministratore navigato che di politico tout court, vive di luce propria: ha empatia, è alla mano, è popolare ed è sintonizzato sulla sensibilità della gente comune. Si dirà, a ragione, che per fare il sindaco non basta essere simpatici, eppure l’handicap del centrodestra si colloca proprio nello scarto fra il consenso personale del candidato e la distanza che lo separa dalla residua forza della sua coalizione. Del resto Tentorio non è organico al mondo berlusconiano e in una fase di evidente sbandamento di questa realtà è come se il sindaco e una Lega privata dell’età dell’oro e nella ridotta dell’anti euro si ritrovassero alleati più del dovuto per superare lo slittamento verso il basso di Forza Italia e cercare di ribaltare in tandem una congiuntura non delle più felici. Insomma: candidato forte e alleanza debole.

GORI, IL FATTORE “R” E LA COALIZIONE DI CENTRO SINISTRA

Nel centrosinistra la combinazione dei fattori segue altre logiche. Primo, perché deve giocare in una città storicamente moderata e conservatrice (per quel che ancora possono dire queste categorie nel 2014). Secondo, perché sente di avere il vento nelle vele con l’attuale premier: anche qui c’è il fattore R, che stavolta vuol dire Renzi. In definitiva Gori, che si gioca la partita della (seconda) vita, può contare su una coalizione strutturata che bilancia qualche insufficienza del candidato. Gori è sceso in campo con una determinazione e con un impegno che ha sorpreso anche i non pochi freddini che stanno nella sua metà campo. Strada facendo, ha maturato la padronanza dei singoli dossier ricevendo anche un certo apprezzamento in ambienti non scontati: chiedere alla Cgil per competenza. Il suo deficit, che probabilmente gli deriva dal carattere e dalla formazione, è la difficoltà obiettiva a scaldare l’anima popolare, a creare un flusso caldo verso la sua persona, ad alimentare la circolazione corporea con gli elettori: insomma, a costruire rapporti empatici. Lo si vede, per esempio, nella scelta strategica – che risponde alla logica di accreditarsi fra gli addetti ai lavori per uno che è partito da zero – di privilegiare il dialogo e la dialettica con i corpi intermedi (associazionismo, rappresentanze produttive e sindacali), ancora in grado di orientare il voto, rispetto all’attitudine di porsi come interfaccia del cittadino. La dimensione popolare, che è la vera natura del sindaco, il politico di prossimità, non sembra ancora averlo catturato, addomesticandone la postura, e resta sull’uscio là dove invece emerge la caratura del manager alla guida di uno staff, un modo di porgersi che pare coprire il suo lato debole. Ci sarà modo per una valutazione più ponderata, tanto più che è ragionevole pensare che si andrà al ballottaggio. L’opinione diffusa, e che chiude questa panoramica, è che, pur senza svalutare il peso specifico dei candidati, anche il voto per il sindaco di Bergamo avrà una componente decisiva, oggi più di ieri, nell’impatto del nazionale sul locale: quanto tocca a Renzi, quanto a Grillo, quanto a Berlusconi.