Sinodo, omosessuali e sindaci ribelli

Foto: Il sindaco di Roma Ignazio Marino, in occasione di una delle recenti “trascrizioni di matrimoni gay”

In queste ultime settimane diversi chiedono, con insistenza, una mia opinione riguardo il tema dell’omossessualità. Cercare di dirla è difficile ed arrischiato. Una parola etica è necessariamente una parola di valutazione. Ma valutare è giudicare. E chi di noi può giudicare? Ma rinunciare a giudicare vorrebbe dire che tutto si equivale; e questo sarebbe una rinuncia deleteria per la nostra comune umanità. La morale, nonostante ciò che pensano alcuni partigiani dell’una e dell’altra parte, non è però necessariamente e solo “binaria”: sì o no. Non si limita ad opporre ciò che è permesso a ciò che è proibito. Essa è anche e soprattutto la ricerca del bene possibile, l’accompagnamento del cammino possibile a ciascuna persona a partire dalla condizione in cui si trova. In verità, questa settimana due sono gli atteggiamenti provati in ordine alle questioni che riguardano le persone omosessuali. Il primo è di gioia, il secondo di fastidio.

UNA GIOIA. SENZA ESSERE OMOFILO

Confesso che ho provato gioia quando ho letto il testo della relazione dopo il dibattito al Sinodo presentata nei giorni scorsi alla stampa. Vi sono tre paragrafi sugli omosessuali che rappresentano un vero e proprio punto di svolta (di linguaggio, soprattutto) nella lunga storia della chiesa. Leggeteli anche voi (www.vatican.va) : sono i paragrafi 50-52 e stanno sotto il titolo “Accogliere le persone omosessuali”. Come ha ricordato Accattoli di “accoglienza” parlava già il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992): la novità non è lì, ma nella segnalazione che c’è del positivo negli omosessuali e anche nelle loro «unioni». Questo non si era mai letto in un testo – seppure provvisorio – uscito da un ambiente vaticano. Il testo dice cosi: «Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana»; «Si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners delle unioni omosessuali». Frasi simili le scrivevano i teologi e le aveva dette il cardinale Martini, ma fino a ieri non erano mai echeggiate nel recinto di San Pietro. Fioriranno o geleranno? Lo vedremo nei prossimi mesi. Non dimentichiamo che il Sinodo di questi giorni avrà la sua piena conclusione solo tra un anno dopo un lungo periodo di consultazione e di confronto dentro le nostre comunità cristiane.

UN  FASTIDIO. SENZA ESSERE OMOFOBO

Ho provato fastidio invece quando ho letto della scelta di alcuni Sindaci di trascrivere nel Registro comunale matrimoni di coppie omosessuali contratti all’estero. Personalmente mi trovo d’accordo con Giovanni Colombo quando scrive che: «Un conto è l’unione omosessuale, che va riconosciuta ai sensi dell’art. 2 della Costituzione. Un altro è l’alleanza tra l’uomo e donna, chiamata matrimonio (da “mater”, colei che genera), che viene tutelata dall’art. 29 della Costituzione. Un conto è il Consiglio Comunale, che può mandare segnalazioni alle Camere. Un conto è il Parlamento della Repubblica, cui spetta il compito di legiferare (e sarebbe ora che lo facesse, risale al lontano 2007 la discussione sui Di.co. rimasta a mezz’aria). Un conto è il registro comunale delle unioni civili, utile per eventuali interventi in campo sociale. Un altro sono le trascrizioni, che confliggono con le leggi in vigore. Un conto è il leader politico che decide di promuovere una campagna di mobilitazione sull’argomento. Un altro è il Sindaco che come ufficiale dello stato civile deve obbedire al Ministero dell’Interno». Dalle pagine della Stampa Vladimiro Zagrebelsky, per dieci anni giudice della Corte Europea dei diritti dell’uomo, ha scritto: «Qualunque opinione si possa avere sui matrimoni omosessuali e la regolamentazione alternativa che tali unioni richiedono alla luce della Costituzione, il ribellismo nientemeno che di sindaci, ufficiali di stato civile, è frutto e sintomo, oltre che causa di un disfacimento delle istituzioni fondamentali della Repubblica, che non dovrebbe essere apprezzato nemmeno da coloro che, nel merito, condividano il segno politico che le illegali registrazioni esprimono. Il diritto di resistenza rispetto alle leggi ingiuste ha nobili ascendenze ed anche importanti manifestazioni storiche. Gli obiettori di coscienza al servizio militare, in Italia nel passato e ora in altri Paesi, ne sono un esempio. Ma quegli obiettori erano dei privati cittadini, pagavano il loro rifiuto andando in prigione. E riuscirono a far cambiare la legge. In nessun modo i sindaci che ora sfidano il governo meritano l’apprezzamento e l’ammirazione che quegli obiettori si son guadagnati».

UN RAMMARICO. DA CRISTIANO NELLA CITTÀ DI TUTTI

Ciò che sta avvenendo in queste settimane è anche (non solamente, evidentemente) il frutto di una miopia che ha colpito, a mio avviso, la comunità cristiana quando si accanì in modo feroce contro il secondo Governo Prodi che, nel febbraio del 2007, propose i DICO, “Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi”, finalizzati al riconoscimento nell’ordinamento giuridico italiano non del matrimonio ma di alcuni diritti e doveri discenti dai rapporti di convivenza registrati all’anagrafe. Conviventi secondo il disegno di legge mai approdato in Parlamento erano considerate «due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, affiliazione, tutela».
Rosy Bindi, allora Ministro della Famiglia, fu oggetto, in alcuni casi, di accuse ingenerose (e vergognose). Eppure in quel frangente era chiaro che si giocava, ancora una volta, il rapporto del credente nella città di tutti, lo stile da assumere e il valore, per il politico cristiano, della mediazione etica. L’ho ripetuto molte volte: i valori non esistono allo stato puro. Essi sono sempre storicamente incarnati. Compito del politico cristiano non è solo quello di richiamarli ideologicamente a mò di slogan ma, soprattutto, di tradurli e di difenderli con le armi della politica. E queste sono, nel mondo plurale, legate al consenso, all’evidenza di umanità che esprimono e alla graduale possibilità di insediamento. Cosi non è avvenuto. Non stupiamoci della confusione attuale.