Quando la memoria del 1989 diviene esaltazione del capitalismo. A proposito delle celebrazioni per la caduta del muro di Berlino

Un autorevole costituzionalista tedesco contemporaneo, Peter Haeberle, così ha descritto il significato costituzionale del 1989 e, in particolare, della caduta del muro di Berlino: «l’anno 1989 ha segnato il momento decisivo in tutto il mondo per lo Stato costituzionale: il fallimento quasi globale del marxismo-leninismo ha messo ovunque in luce in maniera positiva molti degli elementi strutturali dello Stato costituzionale, soprattutto i diritti dell’uomo, la democrazia, lo stato di diritto ed anche l’economia (sociale) di mercato». Il 1989 si pone quindi sulla scia del 1789, come tornanti decisivi della modernità sociale, economica, giuridica e politica.

Poiché il costituzionalismo moderno ha al centro i valori di libertà e di eguaglianza, la posizione riportata può essere sottoscritta senza ambiguità. Lo stesso fallimento, storico e costituzionale, del regime sovietico, caratterizzato da pianificazione e dirigismo economico, ha mostrato, con la forza dell’esperienza, che mercato ed iniziativa economica sono ambiti costitutivi di realizzazione della libertà e della creatività umane. Se si pretende, magari anche per ideali di giustizia, di amputare dalla possibilità umana queste direzioni di realizzazione il rischio che si spalanca è quello di dare origine ad un ordinamento oppressivo e totalizzante. La libertà – anche economica – è parte integrante della felicità e i regimi totalitari, anche di ispirazione marxista, hanno finito per comprimere non solo l’autonomia del mercato, ma anche quella sociale e politica.

LA QUESTIONE SOCIALE NON È LIQUIDATA

Tutto bene, dunque? Possiamo lasciarci andare ai toni celebrativi? Io ho l’impressione che la vittoria delle democrazie contro la stagione dei totalitarismi, con il collasso dell’alternativa marxista, abbia abbassato pericolosamente e non innocentemente il livello del senso critico rispetto all’avversario storico del totalitarismo (marxista), e cioè il capitalismo. Con la caduta del collettivismo marxista non possiamo ritenere liquidata anche la questione sociale… Questo monito vale sia dal punto di vista degli ideali propri del costituzionalismo; sia da quello della dottrina sociale della Chiesa. Per il costituzionalismo centrale è la difesa della libertà dal potere: è però noto che l’aggressione alla libertà e all’eguaglianza delle persone non provenga solo dal potere statale o pubblico, ma anche dai poteri privati, economici in particolare. Il mercato, pur rappresentando una sfera sociale di svolgimento della personalità umana, dà origine a rapporti in cui la libertà e l’eguaglianza tendono a essere pregiudicate dall’incombere di dimensioni fattuali di potere (del datore di lavoro sui lavoratori, dei professionisti sui consumatori, dell’impresa in posizione dominante sui concorrenti, della generazione attuale su quelle future, ecc…). Lo squilibrio di questi rapporti, se non corretto dall’ordinamento, minaccia di trasformare l’autonomia del mercato nella libertà di pochi (privilegio) e nella soggezione per gli altri. Il capitalismo tende a negare o a sottovalutare questi condizionamenti fattuali, sicché la promessa della libertà è mantenuta solo per pochi e rischia di tradursi in potere privato; e intanto le diseguaglianze crescono velocemente.

PER LA CHIESA LA DIGNITÀ DELL’UOMO NON È DIFESA DAL MERCATO

Nella stessa dottrina sociale della Chiesa, l’opposizione al collettivismo, così come ad ogni totalitarismo, è sempre andata di pari passo con la critica radicale a un sistema di capitalismo liberistico. Mai i Papi hanno sostenuto che si dovesse consegnare la dignità dell’uomo e del lavoratore agli automatismi di mercato! Ma, mi pare, mentre l’opposizione storica al collettivismo è stata all’altezza della critica radicale al marxismo, rispetto al capitalismo, sul piano pratico ci sono state delle timidezze eccessive, finanche dei cedimenti, magari anche strumentali… Certo, mentre l’autoritarismo sovietico, in forza di un’ideologia materialistica, ha combattuto la Chiesa; il capitalismo l’ha talora blandita… Le posizioni espresse da Papa Francesco segnano, in questo processo, la possibilità di un opportuno ridestamento, nel seno della coscienza dei credenti, della consapevolezza dell’ambiguità di un sistema capitalistico che produce vite di scarto e che interpreta le relazioni umane con il paradigma della competizione.

UN’AMBIGUA IDEA DI OCCIDENTE

Il collasso dei sistemi politici a economia pianificata ha anche aperto la via a una riconciliazione preziosa, entro la comunità europea, di traiettorie che si erano separate. Il Trattato di Atene del 2003 ha sancito l’ingresso nell’Unione di molti Paesi dell’est Europa. Questi giorni di giusta celebrazione dell’anniversario della caduta del Muro cadono però in tempi in cui proprio l’Europa rischia, su più fronti, di restare invischiata e confusa dentro un’idea melmosa e ambigua di Occidente, a chiara egemonia culturale ed economica americana. L’incerto scenario politico internazionale e la crisi economica globale stanno mettendo a dura prova l’identità dell’Europa, il cui modello politico e sociale non è mai stato omologabile al capitalismo americano. L’elemento qualificante del modello sociale europeo sembra risiedere nella correlazione, fino all’inscindibilità e all’interdipendenza, tra la questione della crescita economica e quella della protezione sociale ed ambientale. La caduta del Muro di Berlino non deve essere celebrata come se fosse il trionfo del capitalismo liberistico. Tutela della dignità del lavoro e sostenibilità ambientale dello sviluppo sono questioni assai vive che la giusta celebrazione del 1989 non deve indurre, nemmeno per un momento, a dimenticare, perché non è affatto detto che se vince il capitalismo vincano anche libertà ed eguaglianza. Per non parlare della dimenticata fraternità…