La predica spesso fa dormire. Intanto la Santa Sede pubblica un documento

Papa Francesco vi ha dedicato 25 numeri della sua esortazione apostolica Evangelii gaudium. Adesso la Santa sede pubblica addirittura un Direttorio: un intero documento. Stiamo parlando dell’omelia. Sì, l’omelia, la predica che il prete tiene durante la messa. È stato preparato dalla redatto dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ed è stato ufficialmente presentato nella conferenza stampa del 10 febbraio. Si chiama “Direttorio omiletico”.

LA CHIESA NON SI CHIEDE CHE COSA VUOL DIRE COMUNICARE

La circostanza ci permette di buttar lì qualche considerazione su una “cosa” che fa parte della vita quotidiana delle comunità cristiane e della quale non si parla quasi mai. Nella conferenza stampa è stato affermato che “si deve riconoscere che per un Vescovo e un sacerdote, specialmente se è parroco, la predicazione omiletica è la parte principale del suo magistero, cioè del ministero, elargitogli e accettato con l’ordine sacro, di annunciare l’Evangelo di Gesù Cristo”. L’omelia, dunque, ci assicurano gli estensori del Direttorio, è importantissima. È un genere letterario particolare che, proprio per questo, esigerebbe delle precise competenze specifiche. Ora il prete ha studiato la bibbia, i sacramenti, la teologia fondamentale, ha studiato tutto. Ma quando deve predicare deve far appello alle sue doti personali: nessuna specifica preparazione al riguardo. Al massimo, qualche esercitazione sul campo. Se è bravo: beato lui e beati quelli che lo ascoltano. Altrimenti: licenza di annoiare. A conferma di una convinzione che l’ambiente ecclesiastico sente come ovvia: l’importante è avere le idee giuste. Il come comunicarle è un lusso di cui si può fare comodamente a meno. Può succedere così che il prete uomo di cultura che ha studiato tanto, quando predica, è e resta uomo di cultura, e – di solito: non proprio sempre, ma di solito – lo si vede. Ma fa dormire. Le idee sono giuste, ma se le deve tenere lui perché non passano. Strana, in ogni caso, questa carenza: nella nostra cultura dove comunicare è tutto, la Chiesa, la Chiesa concreta, quella che fa la predica alla messa della domenica, non si chiede cosa vuol dire comunicare.

LE PREDICHE NON TOCCANO LA VITA DELLA GENTE

Una seconda osservazione, tra le tante, ovviamente, che si potrebbero fare. Mediamente, le omelie non danno l’impressione di “mordere” sulla vita della gente. Volano alto o volano a lato: non camminano là dove la gente, mediamente, vive. Ci sono omelie che aggrediscono con una virulenza morale che spaventa. Come se il Vangelo fosse una clava da menare sulla testa della gente. E la gente aggredita pensa più a difendersi che a lasciarsi convincere. Ci sono predicatori che sono sicurissimi di tutto, infatti: della vita familiare, del lavoro, della politica, della Chiesa, ovviamente, di tutto. Così sicuri che non riescono a toccare le insicurezze di chi ascolta. Oppure ci sono predicatori che trasformano il Vangelo in una melassa di esortazioni, di raccomandazioni, di lamentazioni di vario tipo.

Insomma: l’omelia che dovrebbe fare da mediazione fra il Vangelo e la vita o parla solo del Vangelo o parla solo della vita o, capita qualche volta anche questo, non parla né del Vangelo né della vita e resta un vago torneo di parole. E la gente esce di chiesa più povera di quando vi è entrata.

Benedette quelle volte quando, invece, l’omelia riesce a far sentire il Vangelo vicino e “caldo” che parla a me, oggi, qui. Quelle omelie nelle quali il predicatore trasmette una simpatia, il senso di una bellezza dove idee e raccomandazioni possono trovare il loro posto, ma come conseguenza di quella bellezza e di quel calore della Parola. Qualche volta succede anche questo. Magari non spesso, ma succede.

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