Atalanta. Percassi e gli ultrà: lo strano perdono in zona Cesarini

Foto: Antonio Percassi, presidente dell’Atalanta

Togli la maschera, metti la maschera, cambia la maschera. Chi è Percassi? Il presidente che ama gli ultrà o l’uomo di calcio che li condanna?

PRESIDENTE O PROTETTORE DEGLI ULTRÀ?

L’Atalanta di Percassi, che “perdona” gli imputati della contestazione organizzata verso l’Atalanta di Ruggeri (2010), fa pendere la bilancia dalla parte della prima possibilità. “Decisione in zona Cesarini”, ha osservato non senza ironia il pubblico ministero al processo. E pure l’opinione pubblica non ha gradito. Commenti negativi, in netta maggioranza, sia sui social che sui siti d’informazione. L’accordo con gli ultrà – poi assolti dal giudice, non essendosi ravvisati i reati di violazione di domicilio e di danneggiamento – è stato interpretato da molti come un affronto alla memoria d’Ivan Ruggeri, il predecessore che non volle mai scendere a patti. E proprio per questo il centro sportivo di Zingonia fu preso d’assalto con l’intento d’indebolirne la gestione.

PERCASSI E PALLOTTA

Una specie di remissione di querela arbitraria, perché non deliberata dalla persona offesa, scomparsa. Inoltre è parso stridente il confronto col patron della Roma, l’americano Pallotta, che proprio in questi giorni ha dichiarato guerra senza mezzi termini ai suoi ultrà. Sorprendente, anzi, come numerosi appassionati atalantini si siano schierati con Pallotta. Anche se, a questo proposito, sarà bene ricordare che un conto è dire certe cose da Boston, un altro stando sulla piazza.
Da quando ha riacquistato l’Atalanta, per la prima volta i detrattori di Percassi si fanno sentire. Finora avevano sempre prevalso i suoi sostenitori, gli stessi che in qualche modo ne avevano favorito la conquista della società non facendo mistero – gli ultrà stessi, la stampa locale più influente (quando L’Eco era diretto da Ettore Ongis) – che fra Ruggeri e Percassi preferivano il secondo. Se la squadra attuale, dalle prestazioni e dai risultati deludenti, non fosse dell’imprenditore di Clusone, contestazioni e critiche sarebbero state, verosimilmente, ben più aspre.

I TIFOSI: STRATEGIE E FURBIZIE

Sicché chi è Percassi? Un abile trasformista, che conosce alla perfezione – da ex calciatore – il campo in cui gioca. Dunque, quando i tifosi si scontrano, la parola d’ordine è “isolare i violenti”. Ma la curva amica resta irrinunciabile per le fortune della squadra e perciò si salta e si balla sul palco alla Festa della Dea. Si lasciano rilasciare al d.g. Marino dichiarazioni generiche di sostegno a iniziative di rottura tipo Pallotta. Poi è pronto sul quotidiano on line di proprietà – affidato proprio a Ettore Ongis – un articolo contro prefetto e questore in ottica ultrà. E se l’articolo è molto forte? I giornalisti sono liberi, l’editore mica interviene sui testi.
Un quadro simile autorizza sospetti di complicità con le frange estreme del tifo? Manca la prova. Esattamente come quando centrale indietreggiante e portiere in uscita non s’intendono – ogni riferimento a fatti realmente avvenuti è puramente casuale – e l’attaccante avversario fa gol. Dove sta il confine fra errore e malafede?

LA PASSIONE DI PERCASSI E IL GIUDIZIO DELLA “GAZZETTA”

Siccome bisogna osservare entrambe le facce della medaglia, in questo scenario l’Atalanta – comunque – ha solo da guadagnare. Difficile trovare una guida così esperta, con certi chiari di luna. E anche un patron tanto appassionato, in quanto gli oltre 40 anni della sua vita con la maglia nerazzurra sono reali. Sotto questo aspetto, i tifosi a favore si confermano realisti e competenti.
Però il mondo sta cambiando. La Rete ha abbattuto la distanza fra i centri di potere e la gente comune. Non ci sono solo quelli con gli occhiali dalle lenti nerazzurre. Giornali e siti devono trarne le conseguenze. “Il paradosso di Bergamo, condannati 40 ultrà ma l’Atalanta li assolve” sparato a tutta pagina sulla Gazzetta dello Sport equivale a una sentenza. E stavolta non serve attendere le motivazioni. Per chi finora ha tolto la maschera, messo la maschera, cambiato la maschera – magari semplicemente per legittima difesa – s’impone una scelta di chiarezza, pena la perdita di credibilità: il tempo dell’opacità è scaduto.