Il “buon pastore” dallo sguardo acuto e noi, gregge dallo sguardo corto

Immagine: Il Buon Pastore, Mausoleo di Galla Placidia, Ravenna

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore (Vedi Vangelo di Giovanni 10, 11-18.  Per leggere i testi liturgici di domenica 26 aprile, quarta di pasqua, clicca qui)

“Io sono il buon pastore”. E’ l’immagine che domina il capitolo decimo del vangelo di Giovanni. “Buon pastore” è, alla lettera, il “bel pastore”, cioè il pastore ideale, il pastore perfetto.

BUON PASTORE E MERCENARIO

Gesù parla a gente che conosce molto bene la pastorizia. Spesso è gente che fa il pastore di mestiere e sa che cosa significano le pecore, quale ricchezza esse rappresentano. Un po’ come la  vigna per il vignaiolo… È facile, quindi, per Gesù, distinguere fra il proprietario delle pecore e il mercenario, colui che è soltanto pagato per custodire l’ovile. Del mercenario vengono definite le caratteristiche negative, specularmente opposte a quelle del pastore vero. Arriva il lupo e il mercenario scappa. Il pastore invece no perché quelle sono le sue pecore. Gesù è il “buon pastore” che dà la vita per le sue pecore e che quindi è profondamente diverso dal mercenario. Gesù è “buon pastore” anche perché non si limita a curare le pecore di Israele, ma va oltre, estende la sua cura a tutti. Tutti diventano sue pecore e quindi, guidati da un solo pastore, tutti saranno uniti, diventeranno un solo gregge. non si è, perciò, uniti perché si nasce in Israele e se ne fa parte, ma perché si accetta di essere guidati dall’unico pastore: Gesù. Gesù raggiungerà la pienezza della sua missione dando interamente la vita: questo è il gesto “estremo” del suo amore per le pecore. Ora, dove c’è amore fino al limite c’è vita senza limiti. Ciò che Gesù fa, infatti, lo fa per obbedire al Padre, per una esigenza amorosa verso di lui. Questo amore lo porta a dare tutto e, dando tutto, fino al limite, dà ai suoi amici una vita senza limiti.

LA TENTAZIONE DI USARE GESÙ COME SC SCUDO

Il pastore non chiude le pecore nel recinto, ma le porta fuori. È colui che cammina avanti a tutti, che conduce. Qualche volta il cristiano prende Gesù come scudo per proteggersi da tutto: dalle malattie, dai nemici, dalle paure, dalla morte. Molta “simpatia” recente per il cristianesimo è giustificata dalle paure per ciò che avviene, soprattutto per l’aggressione dell’Islam e molti difensori del cristianesimo sono sorti, che non pregano, non partecipano alla messa, non leggono la Parola di Dio; eppure difendono il cristianesimo, difendono il crocifisso nelle scuole e negli ambienti pubblici. Si servono del cristianesimo per arginare le loro paure. Non credo che costoro abbiano veramente capito il Buon pastore. Gesù non è un paravento. È colui che ci annuncia un Dio generoso e padre per noi e per tutti. I cristiani sono gente che esce dall’ovile e che va dietro al pastore che cammina davanti a loro.

LE PECORE CI VEDONO POCO

Non solo ma possiamo evitare di diventare merce di altri pastori se conosciamo il Pastore. Siamo merce facile alla preda perché non siamo veramente pecore dell’unico pastore. Da notare, poi, che siamo veramente pecore dell’unico pastore se stiamo insieme, se siamo “gregge”. Le pecore, ci dicono, hanno un raggio visivo ridotto e possono evitare di disperdersi solo se stanno le une vicino alle altre… Bella immagine di noi, discepoli del Signore, siamo veramente suoi amici solo se “stiamo insieme”, se “facciamo gregge” con lui. Ci vediamo poco, noi. Lui, in compenso, vede dove noi non vediamo e può arrivare e condurci là dove noi non riusciremmo mai ad arrivare da soli.