2 giugno: festa di una Repubblica svilita e necessaria

UNA FESTA IN CRISI

Di tutte le feste civili, la Festa della Repubblica è senz’altro quella meno gettonata. Non è il 27 gennaio, che esprime il dolore universale per la tragedia, non il 25 aprile, con il suo ciclico coro di rivendicazioni e revisionismi: il 2 giugno non accende le polemiche, ma nemmeno entusiasma. A parte qualche parata di rito con tricolore annesso, negli ultimi anni è pure stato vittima della spending review, con abolizione delle Frecce Tricolori (reintrodotte però l’anno scorso). Dagli arrabbiati anti-casta viene visto come l’ennesimo, inutile spreco di denaro pubblico, gli antimilitaristi non ne sopportano l’esibizione di armi e corpi militari, certi politici non riescono a farla passare come festa della propria parte, cosa che riesce meglio con il 25 aprile.

BERGAMO VOTÒ MONARCHIA

Eppure il 2 giugno 1946 è davvero una data storica, che ha segnato per l’Italia una svolta epocale: il passaggio da un Regno di sudditi a uno Stato di cittadini. Per chi, come me, è nato nella seconda metà del Novecento, l’ordinamento repubblicano e democratico è qualcosa di naturale e scontato, non si riesce neanche ad immaginare la possibilità di un regime diverso, ma sappiamo bene che tutto fu deciso in poche ore, sul filo del rasoio, tra rapide conte e sospetti di brogli, con un divario enorme tra Nord e Sud, ma anche con sorprendenti eccezioni: per rimanere nelle vicinanze, la Bergamo che poi sarebbe diventata patria leghista e nordista, in quell’occasione si comportò come il Mezzogiorno, votando in maggioranza per la monarchia, unica provincia settentrionale insieme a Cuneo e Belluno.

REPUBBLICA UMILIATA

La Festa della Repubblica non infiamma le masse probabilmente perché, per molti, c’è ben poco da festeggiare: quella italiana è una Repubblica costantemente svilita dalla mediocrità e dalla disonestà, da una verbosità indisponente e da un sistema ingessato che sembra non cambiare mai. Spesso e volentieri, in questi e in altri tempi, serpeggia in noi italiani la voglia dell’uomo solo al comando, del deus ex machina che ponga fine alle risse tra partiti inconcludenti e litigiosi, del demiurgo che smuova un Paese notoriamente inerte: è certo una tentazione giustificata e giustificabile, ma alla prova dei fatti il modello monarchico e autoritario ha sempre fallito, talvolta con conseguenze tragiche.

REPUBBLICA SENZA ALTERNATIVE

La Repubblica, con tutti i suoi difetti, continua a rappresentare lo stadio più alto ed evoluto di una comunità: il suo nome evoca Platone e un insieme di uomini e donne diversi – per intenzioni, ideali, storie – che cerca però di darsi delle regole e dei paletti, dei diritti e dei doveri, nella convinzione che la res publica sia uno strumento di convivenza, non il possesso privato di qualche dinasta. Forse, ad essere sinceri, la Festa della Repubblica dovrebbe riscuotere maggior entusiasmo anche e soprattutto tra i Cristiani, perché nella Storia e nel mondo non si è mai visto un modello politico che più si avvicini al messaggio di uguaglianza e giustizia del Vangelo, con la sua idea che nessun uomo, per qualche recondita e insondabile ragione, sia autorizzato a sentirsi al di sopra di altri uomini.

È vero, i problemi perennemente irrisolti che affliggono l’Italia non aiutano a renderci fieri e gioiosi per uno Stato precario di salute: ma una democrazia malandata rimane pur sempre preferibile a una sana tirannide. Buttiamo via l’acqua sporca, non un bambino di quasi settant’anni che deve ancora maturare.