Le migliaia di nuovi immigrati. Domanda necessaria: ce la facciamo?

Le ondate di immigrati appaiono ormai inarrestabili.  Arrivata l’estate e con il bel tempo e il mare calmo gli arrivi si contano ormai a migliaia al giorno. Le navi di tutta Europa sono corse, negli ultimi giorni, a salvare i disperati. E pare ci siano riuscite. Non si lamentano vittime negli ultimi giorni, infatti.

Ma le previsioni parlano di centinaia di migliaia di aspiranti profughi che aspettano sullo coste libiche.

Ci si deve chiedere se e come far fronte a questa emergenza. Non solo “se”, ma anche “come”. Se non si riesce a definire il “come” si deve mettere in discussione il “se”. In parole povere, in questi giorni torna la domanda banale, banalissima: ce la facciamo? Da una parte preme il principio morale: dobbiamo aiutare. Ma dall’altra preme l’altra urgenza, quella dei numeri. L’aiuto è in grado di essere minimamente decente, in modo che le persone soccorse restino persone e non diventino pacchi a perdere? Perché, se l’aiuto invece di migliorare la situazione degli immigrati la fa peggiorare, allora non è più un aiuto.

Questa domanda non se la deve porre solo l’onorevole Salvini il quale ha già dato la sua risposta, a prescindere e molto prima dell’ultima urgenza. I tipi come Salvini, infatti, sono preoccupati molto più dei loro voti che della vita dei disperati. E quindi altri, oltre a Salvini, se la devono porre quella domanda. Ma se la devono porre davvero.

Se si deve aspettare, in attesa che le strutture tengano dietro, con un minimo di efficienza, a quello che sta avvenendo, è meglio che si aspetti. Non serve a nulla trasportare la disperazione di tanta gente dalle coste della Libia a quelle della Sicilia. Si deve aiutare, certo, si deve. Ma si deve aiutare davvero.