I preti calano, vertiginosamente. Le parrocchie del futuro: sempre più comunitarie. Anche per forza di cose

“Pensate alle comunità cristiane giapponesi rimaste senza preti per 200 anni. Quando dopo questo tempo sono tornati di nuovo altri missionari hanno trovato tutte le comunità a posto: tutti battezzati, tutti catechizzati, tutti sposati in chiesa, e quelli che erano morti, tutti sepolti cristianamente. Non c’era prete… Chi ha fatto questo? I battezzati!… Crediamo in questo, che il battesimo basta, è sufficiente per evangelizzare?”. Cosi papa Francesco in un’omelia a Santa Marta. Un intervento che mette a nudo  una questione – quella della prossima figura e forma di Chiesa – di cui molto si sussurra ma poco, troppo poco, nelle comunità cristiane di oggi si ragiona e discute insieme.

FRANCIA: 800 PRETI MUOIONO. NE VENGONO ORDINATI 82

La questione è seria. Almeno per l’Europa. Lo scorso anno – 2014 –  in tutta la  Francia  sono stati ordinati ottantadue nuovi preti. Mai la cifra era stata così bassa. Mancano le vocazioni, la crisi è spaventosa. “Quando si ordinano cento preti l’anno e ne muoiono ottocento, è chiaro dove sia il problema”, ha detto recentemente mons. Bernard Podvin, portavoce della Conferenza Episcopale transalpina. Nella Francia un tempo “figlia prediletta” della Chiesa, oggi ci sono solo tredicimila sacerdoti – cinquemila in meno rispetto a dodici anni fa – vale a dire più o meno uno ogni cinquemila abitanti. E la maggior parte è in là con gli anni, al punto che in un decennio il bilancio sarà ancora più drammatico e non basteranno accorpamenti di parrocchie sulla scia di quanto, tra non poche polemiche, sta facendo da qualche tempo il cardinale Timothy Dolan a New York.

In Germania invece si registra quella che è stata definita Weihestau nei candidati al presbiterato, e cioè un “arresto” nelle ordinazioni. Cosa succede nella patria di Lutero, ma anche di sant’Alberto Magno? Studenti di teologia, terminato il ciclo di studi, indugiano a farsi ordinare diaconi o preti: il che – si afferma da parte dei responsabili – dato lo scarso numero di vocazioni, crea problemi non indifferenti. L’”attendere”, in questi giovani, prima di venire consacrati, dipenderebbe dal fatto che hanno paura del futuro sviluppo nella Chiesa e paura a impegnarsi, per sempre, nella missione. È un pò, si sottolinea, come accade nei giovani che ritardano il matrimonio…In Italia la situazione sta cambiando Diocesi storiche, anche lombarde, hanno

I PRETI NECESSARI. “DENTRO” LA COMUNITÀ, NON “AL VERTICE”

Insomma, i segnali che giungono non sono incoraggianti e dovrebbero favorire una presa d’atto accompagnata da una riflessione capace di rimettere al centro la comunità cristiana nel suo insieme. Certo, anche i preti. Ma non solo i preti. Questi vi saranno solamente se, insieme, ci saranno uomini e donne capaci di Vangelo, che  raccontino con la vita, nella città sempre più plurale e secolare, la bellezza della vicenda di Gesù. Troppe volte invece succede il contrario. Di fronte alla crisi del sacerdozio si tenta di invertire la tendenza riproponendo la centralità del prete nella comunità e riaffermando una sua dignità superiore a quella degli altri credenti in quanto mediatore e rappresentante di Cristo. Questo nonostante ci sia l’esigenza per il calo numerico dei sacerdoti e per il maturare di una riflessione pastorale al riguardo, di pensare un prete “nella” comunità e non “al vertice” della comunità.

LUNGO I SECOLI LA FIGURA DEL PRETE HA CAMBIATO. E MOLTO

Giacomo Canobbio ha recentemente scritto che non si può certamente immaginare che la figura concreta del ministero presbiterale sia stabilita una volta per tutte; basterebbe dare uno sguardo veloce alla storia per rendersene conto: sono sempre state le congiunture storico-pastorali a modellare le forme non solo di esercizio del ministero, ma pure della comprensione di esso nella riflessione teologica e nelle determinazioni dogmatiche. Per esemplificare, “i presbiteri di cui danno attestazione il Nuovo Testamento e la letteratura del II secolo non sono i presbiteri delle epoche successive, nelle quali peraltro si individuano ‘regimi’ diversi – le cui tracce si trovano ancora in fase di elaborazione del Decreto Presbyterorum Ordinis del Vaticano II – riconducili a due modelli fondamentali, corrispondenti alla situazione della Chiesa: ministero sacramentale, ministero della parola. Se il primo rispecchia la condizione di una cristianità stabilita e quindi tendenzialmente la ‘fine della missione’, il secondo rispecchia la condizione di una Chiesa che avverte urgente il mandato missionario.”

Insomma, la strada da fare è tanta, le tracce di ieri servono a poco e i cammini non sono del tutto segnati. La mia convinzione è che il prete troverà la sua strada nella Chiesa di domani solo insieme ai laici. Non il prete da solo o il laico da solo, ma insieme, confrontandosi, collaborando, condividendo. In una diversità di carismi, ma su un piano di parità e complementarietà, uscendo dalle relazioni di potere che troppo spesso hanno prevalso, e prevalgono tutt’ora, nella Chiesa. Cominciando – anche qui a Bergamo – a sperimentare oggi quello che, probabilmente, saremo obbligati, per ragioni evidenti, a fare domani. Altrimenti, schiacciati dal peso della tradizione e dal poco coraggio, rischiamo di stare, da risentiti, impantanati in paludi stagnanti.

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