Gesù scandalizza parenti e amici. Lo strano destino del profeta

Immagine: Donatello, Profeta. Firenze, museo dell’opera del Duomo

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. (Vedi Vangelo di Marco 6, 1-6. Per leggere i testi liturgici di domenica 5 luglio, quattordicesima del Tempo Ordinario, clicca qui)

Quando in Marco si pone una domanda apparentemente retorica, in realtà si sta ponendo un interrogativo di fondo su Gesù. “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?” Tutte domande retoriche, appunto, che si pongono i compaesani e parenti di Nazaret. Domande che però, pongono un problema vero: come spiegare l’autorità di Gesù? Da dove gli viene tutto quello che dice e che fa? Questo vuol dire porre la necessità della fede in lui, chiedersi il perché si deve diventare suoi discepoli, chiedersi tutto.

IL MISTERO DI GESÙ E LA SUA ECCESSIVA VICINANZA

La forza divina delle parole e delle azioni di Gesù crea un ostacolo perché Gesù, a Nazaret, è “eccessivamente” conosciuto. Si sa il suo mestiere e si conoscono le sue parentele. Fa il “falegname”, o forse il  “muratore”, o forse il “carpentiere” (tutte traduzioni possibili del termine originale greco: non esisteva, ai tempi di Gesù, la divisione specialistica dei mestieri come oggi). L’espressione è comunque dispregiativa, come se si volesse dichiarare impossibile che coesistano quel mestiere così umile, quelle parentele così note e quella forza così “divina” del suo messaggio.

(Una nota sui termini “fratelli… sorelle”. Si pensa debbano essere intesi in senso lato, come designazione di una parentela. Dai vangeli non risulta che Maria e Giuseppe abbiano avuto altri figli ed esistono parecchi altri esempi in cui questi termini sono usati, precisamente, nel loro significato più vasto).

LA “TRISTE MERAVIGLIA” DI GESÙ

Dunque i compaesani di Gesù si scandalizzano: nonostante quello di straordinario che hanno visto, non sanno vedere al di là di ciò che appare. La conclusione di Gesù è, insieme, evidente e sconsolante. Gesù è destinato a percorrere la stessa strada già percorsa dai profeti. Il profeta, testimone delle esigenze dell’alleanza, è sempre un testimone scomodo. Anche l’azione evangelizzatrice di Gesù è “bloccata” dalla incredulità dei suoi compaesani, anche lui è destinato a essere profeta scomodo come i profeti che lo hanno preceduto. Non si dà la buona notizia a chi non la vuole. Questo suscita meraviglia in Gesù: la meraviglia che, solitamente, è negli altri per i prodigi operati da Gesù; qui invece è Gesù che si meraviglia, ma per l’incredulità dei suoi parenti e compaesani (viene in mente la “triste meraviglia” di “Meriggiare pallido e assorto” di Montale).

Esiste un’opposizione totale fra la conoscenza di “fede” nel brano precedente, quello della emorroissa e di Giairo e l’invadenza della “carne” di questo brano. Si tratta di compaesani che dovrebbero conoscere Gesù meglio degli altri, e invece è proprio la “carne” che impedisce di “vedere”. La folla rimane stupita nel constatare la grandezza di Dio che assume l’umiltà di un carpentiere. Invece i compaesani si scandalizzano nel vedere la grandezza di Dio “abbassarsi”, quasi prostituirsi nella “carne” di un carpentiere. Lo scandalo del vangelo: Dio è quel “povero uomo” che è Gesù.

IL PROFETA: PARLARE DI DIO “FRATERNAMENTE”

Il profeta è inestricabilmente colui che parla di Dio ma, insieme, colui che ne parla fraternamente. Oggi, spesso, manca o l’una o l’altra di queste due componenti dell’annuncio evangelico. Qualcuno parla di Dio ma non è fratello. Qualcuno è fratello ma non parla di Dio. Il discepolo del Signore è colui che unisce le due cose: annuncia la verità del Signore da fratello.

Oggi la fede, talvolta, non è annunciata, talvolta viene usata come una trincea contro qualcuno. Il profeta evangelico parla, da “vicino di casa” di un Dio che si è fatto anche lui “vicino di casa”. Infatti: “La verità che si annuncia smentisce se stessa se è annunciata nella rabbia e nell’odio” (Scholtus).