Contro Francesco

Foto: Papa Francesco: un momento del viaggio in America Latina

Incontro un amico prete reduce da una giornata in vicariato con gli altri confratelli. Mi racconta dell’imbarazzo provato a tavola quando durante la discussione è emersa, prepotente, la nostalgia per papa Benedetto, contrapposto polemicamente  a papa Francesco, tacciato di “non saper celebrare” e “di favorire la confusione il soggettivismo”. E’ uno dei molti segnali – anche dentro le nostre comunità ecclesiali bergamasche – che mostrano le difficoltà crescenti che papa Francesco sta incontrando. Non fuori dalla Chiesa ma all’interno della Chiesa. Basta guardare in rete per scoprire un mondo, neanche troppo sommerso, fatto vaticanisti che ripropongono, dall’archivio di papa Ratzinger, le Omelie pasquali, “esercizi di predicazione liturgica per la Settimana Santa”. Di giornalisti livorosi che ossessivamente insistono sull’invalidità dell’elezione di papa Francesco. Di sedicenti gruppi cristiani che presentano Bergoglio come l’Anticristo. Normale dialettica, dirà qualcuno. Può essere ma non mi convince. Da tempo mi chiedo da dove venga questo atteggiamento. Certo, papa Francesco insiste sulla necessità, per tutti, di entrare in una prospettiva di conversione per ricentrarsi sull’essenziale del Vangelo. Lo ha detto bene ai vescovi italiani durante l’ultima loro Assemblea: “Vorrei offrirvi alcune riflessioni con cui rivisitare il ministero, perché si conformi sempre più alla volontà di Colui che ci ha posto alla guida della sua Chiesa. A noi guarda il popolo fedele. Il popolo ci guarda!”. Ancora una volta, come nell’Evangelii Gaudium Papa Francesco chiama per nome il problema di noi credenti. Ed è un problema eminentemente spirituale, un cuore (il nostro, non quello degli altri a cui predichiamo) che non si piega al Vangelo ma, piuttosto, alle tentazioni idolatriche, incluse quelle che assumono forma religiosa. L’evangelizzazione non è un fatto di persuasione dell’altro, ma innanzi tutto di conversione del cristiano che conduce una vita pienamente umanizzata (cfr. Evangelii Gaudium 8) e in tal modo è testimone anche quando non si dichiara tale. Non evangelizzare per proselitismo, ma per attrazione.

Si tratta dunque di verificare l’immagine che i vescovi, i preti, i credenti italiani offrono di sé. Questo significa, per prima cosa, mettere da parte la presunzione di chi si illude di poter far conto solamente sulle proprie forze, sull’abbondanza di risorse e di strutture, sulle strategie organizzative. Ciò che conta davvero è cercare il Signore e lasciarsi cercare da lui nel silenzio e nell’ascolto. Vuol dire esser pastori di una Chiesa centrata sulla fede e non sul potere o sulla rilevanza sociale.

Un secondo aspetto ricordato ai Vescovi  è la denuncia esplicita della mancanza di comunione e delle divisioni intraecclesiali. “Una spiritualità eucaristica chiama a partecipazione e collegialità, per un discernimento pastorale che si alimenta nel dialogo, nella ricerca e nella fatica del pensare insieme.” In questa prospettiva, emerge un volto di Chiesa che non è verticistico e piramidale. Per esercitare il proprio ministero, i pastori devono saper ascoltare e sapersi anche lasciar guidare. Un’affermazione – lo ha ricordato in bell’articolo nel suo blog Christian Albini  (www.sperarepertutti.typepad.com)  che non è facile né scontata nella Chiesa italiana di oggi.  Cosi, di nuovo, papa Francesco ai vescovi italiani: “Ascoltate il gregge. Affidatevi al suo senso di fede e di Chiesa, che si manifesta anche in tante forme di pietà popolare. Abbiate fiducia che il popolo santo di Dio ha il polso per individuare le strade giuste. Accompagnate con larghezza la crescita di una corresponsabilità laicale; riconoscete spazi di pensiero, di progettazione e di azione alle donne e ai giovani: con le loro intuizioni e il loro aiuto riuscirete a non attardarvi ancora su una pastorale di conservazione – di fatto generica, dispersiva, frammentata e poco influente – per assumere, invece, una pastorale che faccia perno sull’essenziale.

Insomma, a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II è venuto il tempo (dopo fughe in avanti, ritorni nostalgici e dimenticanze strategiche) di prendere sul serio le ispirazioni e le linee di cammino dell’evento fondatore del cattolicesimo moderno.

Che sia questa la paura che serpeggia in tanti preti e laici?