Papa Francesco e i gay. A proposito della distinzione fra peccato e peccatore

Foto: Papa Francesco a colloquio con i giornalisti, durante il viaggio di ritorno da Rio de Janeiro, il 28 luglio del 2013. 

L’ERRORE E L’ERRANTE

Il Papa Francesco, in volo da Rio de Janeiro a Roma il 28 luglio 2013, ha risposto alle domande dei giornalisti. Tra queste c’era una domanda sugli omosessuali alla quale Francesco ha risposto dicendo: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?».
I media, come spesso succede, non fecero un bel servizio di informazione. Sbatterono su tutte le prime pagine la notizia non esatta che il Papa aveva detto semplicemente: “Chi sono io per giudicare i gay?” inducendo furbescamente a pensare che il Papa avesse senza giri di parole sdoganato l’omosessualità nella Chiesa, mentre era ed è evidente che non giudicare non equivale ad approvare.
In pratica, il Papa richiamava per l’ennesima volta il principio di distinguere tra peccato e peccatore.

LA STORIA DEL SAPER DISTINGUERE L’ERRORE DALL’ERRANTE

La storia per i cristiani inizia naturalmente con Gesù stesso, come riferisce Giovanni (8,3-11)

Gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono:”Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”… E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”… Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse:”Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose:”Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”.
Come si vede, Gesù non condanna quella signora, anzi la salva proprio, ma non approva affatto l’adulterio, tant’è che le dice di andare a casa e di non peccare più.

DA GESÙ ALLA CHIESA
L’espressione più nota di questo principio nei tempi recenti è quella famosa di Giovanni XXIII al n. 83 della Pacem in terris nel 1963.

Non si dovrà mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità.

Qualche anno dopo (1965) la Costituzione conciliare Gaudium et Spes sui rapporti tra la Chiesa e il mondo contemporaneo, al n.28, ribadisce tale principio nel modo più solenne in assoluto.

Il rispetto e l’amore deve estendersi pure a coloro che pensano o operano diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose… Certamente tale amore e amabilità non devono in alcun modo renderci indifferenti verso la verità e il bene. Anzi è l’amore stesso che spinge i discepoli di Cristo ad annunziare a tutti gli uomini la verità che salva. Ma occorre distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi, ed errante, che conserva sempre la dignità di persona, anche quando è macchiato da false o insufficienti nozioni religiose. (Cfr Pacem in terris). Solo Dio è giudice e scrutatore dei cuori; perciò ci vieta di giudicare la colpevolezza interiore di chiunque. (Cfr. Rm 2,1-11).

Il testo più inatteso in questo senso è un brano di Pio XII. Come si sa, nel 1949, questo Papa ha dichiarato che “i cristiani che professano, difendono e propagano la dottrina comunista si trovano ipso facto in situazione di scomunica”. Ma, nel suo messaggio per il Natale del 1942, lo stesso Papa aveva detto:

Mossa sempre da motivi religiosi, la Chiesa condannò i vari sistemi del socialismo marxista, e li condanna anche oggi… Ma la Chiesa non può ignorare che l’operaio, nello sforzo di migliorare la sua condizione, si urta contro qualche congegno, che contrasta con l’ordine di Dio… Per quanto fossero false, condannabili e pericolose le vie che si seguirono, quale sacerdote o cristiano, potrebbe restar sordo al grido, che… invoca giustizia e spirito di fratellanza? Ciò sarebbe un silenzio colpevole e ingiustificabile davanti a Dio, e contrario al senso illuminato dell’apostolo, il quale, come inculca che bisogna essere risoluti contro l’errore, sa pure che si vuol essere pieni di riguardo verso gli erranti e con l’animo aperto per intenderne aspirazioni, speranze e motivi.

MOTIVAZIONI NON POLITICHE, MA EVANGELICHE

In questa linea, d. Primo Mazzolari, 15 anni prima della Pacem in terris, aveva scritto significativamente in piena guerra fredda:

Io combatto il comunismo, ma amo i comunisti. Se come cristiano debbo guardarmi dall’ideologia comunista, non posso bandire i comunisti dalla mia fraternità.

Non lo diceva per opportunismo politico, come molti anche della Chiesa pensarono. Poneva invece un problema puramente evangelico. E proprio Papa Giovanni, incontrandolo poco prima della sua morte nel 1959, ebbe a dire ai presenti: “Ecco la tromba dello Spirito Santo nella valle Padana“.
Se noi, cattolici di oggi, vogliamo essere, se non proprio la tromba dello Spirito Santo anche soltanto il suo zufolo dai suoni semplici, ma positivi, non possiamo bypassare il problema del rapporto di amabilità verso ogni persona senza per questo renderci indifferenti verso la verità e il bene.