Immigrazione. Ragione di pancia non serve. La lezione della storia

LE CIFRE

Sul fenomeno migratorio, non sempre le statistiche di Eurostat (Ufficio statistico della UE), di Unhcr (l’Alto commissariato Onu per i rifugiati), di ISMU (Iniziative e studi sulla Multietnicità), di OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) coincidono.  In ogni caso, è meglio partire dai dati di fatto, che i numeri rispecchiano, piuttosto che dalle retoriche dell’accoglienza o della paura. Secondo Eurostat, il numero più elevato di stranieri residenti nell’UE al 1° gennaio 2014 si registra in Germania (7,0 milioni di persone), Regno Unito (5,0 milioni), Italia (4,9 milioni), Spagna (4,7 milioni) e Francia (4,2 milioni).

L’anno 2015 è stato l’anno dell’impennata degli arrivi, ma il 2016 la linea è destinata a salire ulteriormente. OIM prevede che gli arrivi marittimi nella penisola ellenica nel 2016 possano superare in modo significativo il record del 2015 di 853.650 migranti. Quello sulle coste italiane, invece, è sceso da 170.100 a 153.842, perché i siriani scelgono la rotta balcanica, però aumentano nigeriani, somali, eritrei e sudanesi. Secondo la Commissione europea, si stimano in 1,5 milioni i migranti che hanno attraversato illegalmente le frontiere esterne dell’Ue tra gennaio e novembre 2015. Quasi 3.000 di loro giacciono in fondo al mare.

La maggioranza degli immigrati sbarcati in Europa sono “rifugiati”, in fuga da guerre e persecuzioni: i siriani, oltre il 50 per cento, seguiti dagli afghani, 15 per cento. La maggior parte di loro è sbarcata in Grecia e Italia. Nel corso dell’anno Atene ha accolto 244mila persone, mentre l’Italia ne ha viste arrivare 119mila.

LE CAUSE

Le cause sono essenzialmente di due ordini: le guerre civili in Siria, Iraq, Afghanistan, Somalia, Libia, Centro-Africa e il bisogno di una vita meno povera. Nel 2014 il numero dei profughi nel mondo è salito 59,5 milioni, mentre la globalizzazione dell’economia e della conoscenza ha ridotto la povertà assoluta, ma ha anche generato un aumento delle diseguaglianze relative e ne ha acuito la percezione. I cittadini europei sono a maggioranza spaventati, i partiti spesso ne ampliano le paure, i governi e la Commissione europea stanno affrontando con fatica e lacerazioni le questioni drammatiche che si presentano.

NON  È UN’INVASIONE. ITALIA SOTTO LA MEDIA EUROPEA

L’appello all’accoglienza che sgorga dal messaggio evangelico deve essere ancorato alla ragione, deve parlare all’intelligenza dell’epoca delle persone. Il confronto con altre epoche storiche, quella delle scorrerie e delle invasioni dal II secolo al V secolo, non soccorre, se non forse per la vicenda dei Goti dell’Est (Ostrogoti) e dell’Ovest (I Visigoti), allorchè l’opposizione conservatrice dell’aristocrazia senatoria pagana e di quella cattolica – i Goti erano ariani – alla loro integrazione sui confini dell’impero romano, li spinse ad occupare parti consistenti del territorio imperiale, essendo essi già fortemente integrati negli apparati dell’esercito e della burocrazia imperiale. Diversamente da allora, non c’è nessuna invasione in corso, né economica né militare. Tale non è il terrorismo. La popolazione europea è di 507 milioni, gli immigrati stabili sono circa 28 milioni; i rifugiati  in Europa sono solo 1,5 milioni. L’Italia sta sotto la media europea: 1,1 profugo per mille abitanti, la Francia 3,5 per mille, la Svezia 11 per mille. Così, è un fatto che lo Stato sociale nei vari Paesi europei è sostenuto sempre di più dagli immigrati, che versano più tasse (16,5 miliardi) di quanto venga restituito loro in termini di servizi e sussidi (12,5 miliardi). Quanto alla disoccupazione “indigena” che essi provocherebbero, i lavoratori immigrati si muovono per lo più in altri segmenti del mercato del lavoro, che i “nostri” hanno abbandonato.

LE PREVISIONI. L’EUROPA HA BISOGNO DI IMMIGRATI

Intanto una ricerca dell’Istituto universitario europeo di Fiesole sottolinea che al 2015 in Europa ci sono quattro giovani per ogni pensionato, nel 2060 ce ne saranno due. Per uscire dall’inverno demografico e per tornare a crescere e contare nel mondo che viene avanti l’Europa ha bisogno di “loro”.

Sono parole che si rivolgono alla “pancia” economico-sociale dei cittadini. Eppure, non bastano a dissipare le paure profonde, europee e italiane, che non vengono dalla pancia, bensì dal cervello. L’Europa viene da cinque secoli di stati-nazione, sorti dopo la prima globalizzazione, quella della scoperta dell’America. Sono quasi tutti da pulizie etniche o religiose e da occupazioni interne; sono passati attraverso due guerre civili europee. Perciò gli europei, francesi in testa, non sono affatto europeisti: continuano ad essere “patrioti”, come ha spiegato Marine Le Pen. La globalizzazione economica e culturale sta scuotendo la vecchia quercia degli Stati, i cui cittadini nutrono l’illusione tenace di difendere da soli il giardino di casa. Perciò la comprensione dell’epoca è la condizione razionale per collocare il destino degli Stati-nazione e governare i processi. Il destino dell’Europa è a rischio; pare molto simile a quello di Venezia del dopo-scoperta dell’America, un itinerario che si snoda tra Lepanto e Campoformio. Educare le menti e il cuore alla globalizzazione: questo sembra essere il compito del presente.