Il referendum sulle trivelle: un’occasione per dare un segnale sui temi legati all’ambiente. Seguendo la «Laudato sì»

Vi proponiamo un intervento dell’ufficio per la pastorale sociale e del lavoro in vista del referendum sulle trivelle. Si voterà nel prossimo weekend.
L’Istituto referendario ha avuto negli anni un’involuzione che lo ha allontanato dal suo spirito originario ed ha progressivamente perso di interesse agli occhi dei cittadini.
Da strumento di espressione d’opinione su temi di coscienza e diritti di facile interpretazione ed enorme rilevanza sociale, oggi è usato per chiedere al cittadino di esprimersi su temi tanto complessi quanto circoscritti che dovrebbero rientrare nella responsabilità della delega rappresentativa.
Questo premesso rimarchiamo come ogni occasione di espressione democratica vada colta, e ben sapendo che questo implichi conoscenza e approfondimento entriamo nel merito del dispositivo e proviamo a offrire alcune chiavi di lettura. In estrema sintesi, domenica 17 aprile, noi italiani decideremo se le concessioni estrattive entro le 12 miglia marine possano essere rinnovate “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”.
Qualora vincessero i “No” (o l’astensionismo) quelle concessioni potranno essere rinnovate fino al loro esaurimento, qualora prevalessero i “Sì” le piattaforme potranno continuare ad estrarre (in gergo tecnico “coltivare”) ma solo fino a termine della loro concessione.
Per questo erra chi parla di referendum pro o contro le trivelle: trattasi di referendum pro o contro l’allungamento, oseremmo dire, a tempo indeterminato delle sole concessioni esistenti entro i 20 km dalla costa, mentre nuove concessioni nel medesimo spazio rimarranno vietate con ogni esito del referendum.
Dentro questa angusta specificità ci fa luce l’Enciclica “Laudato Sì” che fornisce alcuni spunti di analisi molto interessanti. In essa si afferma che «la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti, deve essere sostituita progressivamente e senza indugio» (n. 165), e che dobbiamo «convincerci che rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a un’altra modalità di progresso e di sviluppo» (n. 191).
La posizione del Santo Padre non è l’unica ma è stata assunta chiaramente anche dai 196 Stati (inclusa l’Italia) che nel dicembre scorso hanno raggiunto l’accordo di Parigi sui Cambiamenti Climatici (COP21).
Ecco allora come il Referendum assuma una forte connotazione di indirizzo politico nell’indicare la “rotta” verso una nuova strategia energetica nazionale, nel solco della «Laudato Sì» e della COP21.
A questo si aggiunge un ulteriore aspetto, squisitamente tecnico. Il referendum interessa 21 concessioni che, dati 2015 alla mano, rappresentano poco più del 2,5% del consumo nazionale. Queste concessioni con un esito favorevole del referendum non terminerebbero subito, così come i posti di lavoro «collegati», ma alla loro «scadenza» naturale (che va da qualche anno al 2027).
Le imprese non perderebbero quindi il loro diritto acquisito di estrarre per il tempo della concessione sul quale avevano costruito il loro piano industriale.
Il nodo sta qui: le concessioni, le licenze ed i brevetti hanno sempre un tempo definito, perché nel tempo possono mutare le condizioni politiche, economiche, sociali ed ambientali, e con essi le strategie e gli scenari che lo Stato deve poter definire. L’attuale normativa introdotta con la Legge di Stabilità nel 2016 introduce invece il concetto di rinnovo per «per la durata di vita utile del giacimento», consentendo uno sfruttamento di un bene pubblico a tempo indeterminato. Quanto quel «sine die» nelle strategie aziendali potrebbe gradualmente rallentare l’estrazione (e magari, parallelamente, anche il livello occupazionale) per spostare in là nel tempo l’obbligo del ripristino ambientale, facendo altresì slittare pure l’indotto generato dallo smantellamento delle piattaforme?
Se come cittadini riteniamo che votare sia opportuno, come cristiani riteniamo sia doveroso: sul tema ambientale va dato un segnale, dimostrando che la «Laudato Sì» di Papa Francesco non è stata solo letta e illustrata, ma compresa ed attuata.