Caro prevosto, perché non prendi anche tu alcuni immigrati a casa tua?

“Perché non prendete anche voi in casa parrocchiale qualche immigrato”. È la provocazione di un parrocchiano al mio parroco, conseguenza diretta della visita del Papa a Lesbo. Anche se – forse – dettata dalla generosità la proposta mi sembra una proposta decisamente strampalata e, in fondo, non necessaria. Andrea

IL SENSO DI UN GESTO PROVOCATORIO

Caro Andrea, Papa Francesco ci sorprende e non cessa di stupirci con i suoi gesti che testimoniano il vangelo sine glossa e rendono credibile la sua vita credente. Il suo magistero prende carne e forma in una ricchezza di umanità che ci provoca e mette in discussione. Il gesto di portare tre famiglie siriane a Roma, dodici profughi con diritto di asilo, affidandole all’accoglienza competente della comunità di Sant’Egidio, può essere giudicato spettacolare o inopportuno, oppure additato come simbolo di una sensibilità e cura dell’umano che dovrebbe caratterizzare la Chiesa, l’Europa e il mondo intero. È un forte richiamo alle responsabilità che incombe su tutti gli stati, sulla necessità di trovare risposte univoche e durature al fenomeno delle migrazioni, facendo leva sui valori che sono alla base della convivenza umana. Questo gesto assume ancor più significato in questo momento nel quale prevalgono divisioni, rifiuti e alzata di scudi per porre fine all’accoglienza di questa che è stata definita “una catastrofe umanitaria”. Il Papa ha richiamato tutti alla responsabilità per uscire dalla globalizzazione dell’indifferenza, per non lasciarsi frenare dalla paura.

LA PROPOSTA NON È STRAMPALATA

Non possiamo tacere che questo viaggio, dalla valenza ecumenica, ha avuto anche una portata politica! Per noi credenti questo evento deve porre interrogativi, provocare e aprire spazi di cambiamento e avviare una ricerca alternativa nell’ambito dell’accoglienza. Credo che la proposta del parrocchiano della tua comunità, non sia così strampalata. Comprendo la complessità che la presenza di immigrati provoca nelle nostre comunità, così provate da disoccupazione e piaghe sociali di diversa natura. L’accoglienza non deve essere solo frutto di buonismo o di risposte emotive, ma esige una riflessione e una organizzazione; non possiamo chiudere gli occhi e delegare ad altri la soluzione di problemi o difenderci dalla tragedia dei popoli a noi vicini chiudendo le porte o innalzando i muri.

GLI IMMIGRATI SONO PERSONE

Non dobbiamo temere di affermare che questo atteggiamento di chiusura non è cristiano né evangelico. Dimentichiamo che gli immigrati non sono solo un “caso”, ma principalmente “persone”, con il diritto di essere considerate tali. Forse non ricordiamo come, nel secolo scorso, molti nostri compaesani hanno scelto, per sopravvivere, la strada della migrazione nei paesi a noi vicini, trovando lavoro, accoglienza, ma anche umiliazioni, esclusione e sfruttamento. E questo dovrebbe renderci più attenti e comprensivi. L’attuale fenomeno migratorio è un “nuovo esodo”, un segno dei tempi che trasformerà la vita delle comunità.

A PROPOSITO DEL PARROCO

Certo, il tuo parroco potrà accogliere in casa una famiglia, e non solo per generosità, ma come risposta all’evangelo, e sarà un gesto encomiabile, ma anche se non lo farà, dovrà misurarsi con il mutarsi della configurazione della sua comunità che vedrà sempre più la presenza di uomini e donne provenienti da paesi diversi. La sfida per una comunità è nel passare da una pastorale di conservazione a una di cambiamento, nell’ascolto attento del volto reale dei propri fedeli e degli abitanti del proprio territorio. Dovrà porre risposte di emergenza e di accoglienza che richiederanno la disponibilità di persone e famiglie, la generosità di qualcuno che metterà, cuore e forze per dare spazio e casa ad altri fratelli. Potrà ripensare all’utilizzo di strutture vuote, per trasformarle in luoghi ospitali, ma dovrà soprattutto operare una trasformazione lenta di mentalità, per fare dell’accoglienza una forma del vivere cristiano, e non solo risposte ai bisogni o alle necessità, dentro una pastorale ordinaria e feriale.

CAMBIAMENTO NECESSARIO. E FATICOSO

Come sempre i cambiamenti chiedono una sinergia di forze e di contributi per formare un nuovo approccio culturale, ma penso che occorra accompagnare questa trasformazione anche con la preghiera e la riflessione, con la condivisione dei motivi che la sostengono poiché l’accoglienza del diverso tocca le fragilità, i pregiudizi e i rifiuti. Iniziative in questo ambito sono in atto nella nostra diocesi e la condivisione delle esperienze potrebbe essere una opportunità preziosa per uscire dall’isolamento e dal timore che ostacolano la solidarietà. In questo anno della misericordia dare “spazio ai miseri” vicini o lontani, diviene un’urgenza e una priorità. Chiedere a qualche persona di “aggiungere un posto a tavola”, ad altri un contributo economico o quanto la creatività dell’amore suggerirà, è la più bella porta santa da attraversare. Diviene un occasione preziosa per rispondere all’invito del Signore: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato … perché tutto quello che avete fatto a uno di questi piccoli, l’avete fatto a me!”.