Jàn Figel con Papa Francesco

“La libertà di religione e di credo è un diritto fondamentale alla base della costruzione dell’Unione europea. Alla luce delle persecuzioni che continuano a colpire le minoranze etniche e religiose, è ancor più importante proteggere e promuovere questo diritto dentro e fuori l’Unione”. Con questa motivazione il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha nominato Jàn Figel “rappresentante speciale per la promozione della libertà di religione o di credo al di fuori dell’Unione europea”. Slovacco, 56 anni, deputato e ministro nel suo Paese dove è stato anche leader del Movimento democratico cristiano, Jàn Figel è stato Commissario Ue per istruzione, formazione, cultura e gioventù nel quinquennio 2004-2009; ora entra in carica per un periodo iniziale di un anno. La prima intervista è per il Sir.

Come vede la libertà religiosa, intesa come uno dei diritti fondamentali?
«La libertà religiosa è una cartina di tornasole dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Dove non c’è libertà religiosa, di solito manca anche la libertà civile e politica. Ecco perché la comprensione, il rispetto e il sostegno nei confronti della libertà di religione o di credo rappresentano una condizione preliminare per un mondo più umano nel XXI secolo».

Quale contributo possono portare le religioni al dialogo tra le nazioni e alla questione della pace?
«La fede e la religione abitano all’interno dell’uomo. E lo stesso si può dire della libertà di dubitare o di non credere. La dignità umana è il valore primario ed essenziale che unisce tutti noi nel mondo civilizzato. Dovrebbe essere un principio universale permanente per tutti. E il dialogo rappresenta la strada per il riconoscimento o per un cambiamento radicale di tale valore. Nel dialogo, cerchiamo risposte e le troviamo. Perché il dialogo è più di due monologhi. Mentre il monologo si limita a confermare e avanzare richieste, soltanto il dialogo sviluppa e costruisce rapporti reciproci – tra le persone, le comunità, le religioni, le nazioni. Abbiamo grande bisogno di una cultura del dialogo nel mondo contemporaneo, in quanto ci porta un arricchimento. Nel dialogo, 1 + 1 fa più di 2, perché si tratta di etica, non di matematica».

Qual è la sua opinione sulla situazione attuale nel campo della libertà religiosa nel mondo? Può definire alcune sfide principali che meriterebbero un’attenzione prioritaria?
«La persecuzione e l’intolleranza per motivi religiosi o di credo sono molto diffuse e, purtroppo, questi problemi sono andati peggiorando in molte regioni del mondo. La libertà religiosa è strettamente limitata o negata in più della metà dei Paesi del mondo, e questa tendenza si sta sviluppando in senso negativo. Tutte le religioni, anche se in misura diversa, si trovano sotto l’oppressione di regimi dittatoriali, di leggi anti-proselitismo, di regimi atei militanti o dell’estremismo. Assistiamo anche a un genocidio delle minoranze religiose, soprattutto cristiane, yazidi e di altre religioni, da parte dello Stato Islamico. E non basta puntare l’indice contro questa situazione. È necessario intraprendere un’azione più decisa. Secondo il diritto internazionale, abbiamo l’obbligo di aiutare le vittime delle persecuzioni, dare la caccia ai colpevoli e agire in modo efficace per fermare i genocidi».

Che cosa ci può dire della libertà religiosa entro i confini dell’Unione europea? Si può ritenere un diritto acquisito?
«L’Ue garantisce questo tipo di libertà sulla base della sua Carta dei diritti fondamentali, che è parte integrante del suo sistema. La definizione e l’attuazione dei diritti collettivi delle Chiese e associazioni religiose è di stretta competenza di ogni Paese membro e l’Ue è obbligata a rispettarle. Oltre a questo, è stato creato uno spazio-sistema in base al Trattato di Lisbona in vista di un dialogo costante, aperto e costruttivo tra Ue e comunità religiose. Su questo vedo un significativo potenziale di atteggiamenti e accordi seri finalizzati al bene comune all’interno dell’Ue e oltre i suoi confini. Finora, però, questo potenziale non è stato utilizzato appieno».

In che modo la crisi migratoria è collegata alla questione della libertà religiosa? Quali sfide dobbiamo affrontare in questo ambito?
«Ci sono due volti di questa crisi che devono essere oggetto di discernimento. La migrazione economica consiste nella ricerca di migliori prospettive personali e di auto-realizzazione. Poi ci sono gruppi di persone che sono perseguitate per vari motivi fra cui la fede religiosa, ci sono i rifugiati provenienti dalle regioni in conflitto… La questione migratoria è la sfida più urgente che abbiamo di fronte, che chiama in causa la solidarietà nell’Ue e la pace e la stabilità nelle regioni di conflitto. E – in una seconda fase – la necessità di un’integrazione reale dei migranti, nel caso in cui un interesse sincero e reciproco venga mostrato da entrambe le parti».

Quali saranno le priorità del suo nuovo incarico? Qualche primo passo concreto?
«È un mandato senza precedenti, il primo del suo genere nella storia dell’Ue. Non ho alcun ufficio, soltanto lo status di inviato speciale, il che equivale a una collaborazione prevalentemente professionale e politica con la Commissione europea, in particolare nel settore della cooperazione e dello sviluppo internazionale, con un obiettivo chiaro: sostenere la libertà religiosa o di credo nel mondo all’esterno dell’Unione. Insieme al presidente Juncker e al commissario Neven Mimica vorrei collaborare non solo con i rappresentanti dei Paesi membri, ma anche con le Ong internazionali nell’Ue e in tutto il mondo. La libertà non è mai una bene acquisito, è necessario prendersene cura in modo responsabile nei nostri Paesi e all’estero. E salvare almeno un uomo significa salvare l’umanità».