Il cristiano e l’uomo di oggi. Meno risposte, più domande

“Mi ha spesso colpito e, insieme, interrogato, una strana contraddizione che si vive in non pochi dei nostri ambienti ecclesiastici. Nelle liturgie cantiamo: “Del tuo spirito, Signore, è piena la terra” e poi viviamo come presi dal risentimento verso la terra, verso il nostro tempo, denunciando una totale assenza di Dio. Teorizziamo che il vivere nel mondo ci svuota di Dio. Io mi sento debitore: le tracce di Dio le ho sorprese nelle pagine sacre della Scrittura, ma altrettanto nelle pagine, per me sacre, della storia di ogni persona, nelle cronache della vita”. Cosi parla don Angelo Casati, classe 1931, poeta, scrittore, sacerdote e innamorato di Dio, che ha pubblicato recentemente per Il Saggiatore un testo che merita di essere letto: “L’alfabeto di Dio”. Un libro radicato in una storia antica eppure ricco di soffi di libertà e di passione. Un volume che mette in fila un lessico di parole e di temi della vita quotidiana riletti alla luce della vicenda di Gesù. Quasi a dire che non c’è modo di trovare le tracce di Dio se non dentro le pieghe dell’umano, in quella grande basilica che, dopo l’incarnazione, è diventato il mondo e la storia degli uomini. È ancora don Angelo a dirlo: “Parlo di Gesù, che è il racconto di Dio in una lingua umana, la lingua di tutti. Ma che sia il Gesù dei vangeli! Non quello pallido delle nostre immaginette, non quello spento dei nostri documenti o di liturgie asfittiche. In lui ritrovo il volto di un Dio difensore della nostra libertà, di uno che ha pagato a caro prezzo la difesa della nostra libertà e della nostra dignità, di uno che ci chiama a difendere e a restituire a ognuno dignità e libertà. Non a parole ma con i fatti”.

RITORNINO I VOLTI

Tempo fa sono andato a Milano a trovarlo ed è stato un incontro carico di bellezza e di consolazione. Ho detto a don Angelo che, come sempre nei suoi libri, anche questo è ricco di volti e di storie. Mi ha risposto cosi: “Quando ero giovane rimasi affascinato da un testo di Italo Mancini dove veniva fatta una disanima del pensiero occidentale segnato dall’io arrogante, prepotente, dall’ingombranza dell’’io sono’. Un pensiero che è poi sfociato nel totalitarismo di vario genere e colore. Mancini sosteneva la necessità di un rovesciamento: passare dalla cultura dell’ ‘io sono’ alla cultura della varietà dei volti. ‘Ritornino i volti’.. Se penso alla Bibbia essa è fatta di un Dio ‘di Abramo Isacco e Giacobbe’, di Gesù e dei volti che incontrava. E’ bellissima questa cosa: un volto da guardare, contemplare, accarezzare. Ciò esige rispetto, anche per il mistero che il volto dell’altro inevitabilmente racchiude.”

SONO QUELLI DELLA VIA

Questo è il Dio dei cristiani, gli ho detto. E lui: “Gesù non è stato il Dio della distanza, del disprezzo, della fuga. Al contrario, la sua carne, la sua vita e la sua morte hanno svelato il volto di un Dio che è vicinanza, compassione, immersione. A ben pensarci, l’immagine che ci resta di lui leggendo i vangeli non è quella della frequentazione dei templi ma della frequentazione della vita: strade, laghi, case, la casa dove si banchetta, dove si piange, la casa dove qualcuno ti profuma, e volti, volti, liturgia dei volti. Uomo dello spirito non perché fuori dalla vita, ma perché capace di leggere i segni dello Spirito nella vita, capace di animare la vita con il vento del suo Spirito. Così diverso da coloro che parlano di Spirito e non hanno occhi per vederlo all’opera nel mondo o cuore per soffiarlo sulla brace. A me piace la definizione che veniva data alle prime generazioni di cristiani, dei seguaci di Gesù: ‘Sono quelli della via’. Sono per strada, a rintracciare frammenti di verità dentro le storie degli uomini e delle donne del loro tempo che camminano con loro, a condividere la vita.”

IO CREDO, SIGNORE, MA TU AIUTA LA MIA INCREDULITÀ

Alla fine della lunga conversazione, ho detto a don Angelo che dunque la condizione del credente è di essere abitato dall’inquietudine… “La fede convive con il dubbio, la ricerca. Ricordo che in una delle prime sessioni della Cattedra dei non credenti promossa dal cardinal Martini a Milano venne invitato a parlare Massimo Cacciari. Quella sera, il sindaco di Venezia disse: ‘Trovo scritto nel vangelo  ‘io credo Signore ma tu aiuta la mia incredulità’. È una  delle preghiere che mi piacciono di più.’ Lo penso anch’io: ‘Io credo, Signore, ma tu aiuta la mi incredulità’ è una preghiera che rende nuovo il cammino altrimenti sarei fermo. Aver come compagni di viaggio persone che si interrogano: è una grande fortuna, guai se spegniamo le interrogazioni. Ricordo che Paolo De Benedetti mi disse una volta della differenza tra la trasmissione della fede in campo cattolico e in campo ebraico. ‘Da noi si danno delle risposte prima ancora che sorgano le domande; in campo  ebraico, si suscitano le domande e poi si danno le risposte’. Pensi al bambino che alla celebrazione della pasqua domanda: ‘che cosa stiamo facendo?’ Quella domanda suscita la risposta, sollecita un racconto.  Noi invece abbiamo sempre bisogno di dire tutto. Come se sapessimo sempre tutto di tutti e per questo ci sentiamo autorizzati ad intervenire in tutti i campi. Ci sono invece delle zone grigie che dobbiamo cercare di capire ed esplorare. Con tanto rispetto, silenzio, ascolto.”

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