La preghiera nel terremoto. Dio abita le nostre tragedie

In questi giorni e soprattutto il prossimo 18 settembre tutta la Chiesa italiana sarà invitata a contribuire, con preghiere e offerte, a sollevare i terremotati. Che senso ha la preghiera – e la vostra preghiera in particolare – in occasione di queste grandi catastrofi e di queste enormi sofferenze per così tanta gente? Marco.

Caro Marco, la Chiesa è chiamata a stare là dove l’uomo soffre, è vicina con la solidarietà e con la preghiera, con l’annuncio di una presenza, quella di Dio, che attraverso di lei condivide il dolore, si fa prossimo, vicina.

SILENZIO E PIANTO

Davanti alle tragedie umane, come quella dei terremotati, si possono dire molte parole: si additano i responsabili, si numerano le inadempienze, si fanno indagini geologiche…, ma le parole che sgorgano dal cuore sono il silenzio e il pianto. Come quel giorno sul Golgota quando si fece buio su tutta la terra e un uomo innocente, Dio, fu crocifisso: quel silenzio e quel pianto si rinnovano e svelano una domanda che rimane sospesa e non ha una risposta immediata. La Chiesa prega, noi preghiamo davanti al dolore immenso dei terremotati affidando al Padre delle misericordie quei fratelli che già sono giunti, inaspettatamente, alla sua presenza perché li accolga nel suo abbraccio di misericordia. Ma preghiamo anche per coloro i quali non hanno più nulla e soprattutto sono stati privati dell’affetto dei loro cari: possano sentirsi sostenuti dalla forza del Signore e dalla vicinanza dei fratelli che si fanno, per loro, mano e cuore provvidente. Con la preghiera ci facciamo voce di chi non ha più voce, come gli oranti della Bibbia i quali hanno elevato a Dio le loro suppliche, le loro sofferenze e i loro drammi. Essi hanno gridato il loro dolore sino a trapassare i cieli. L’elevazione del proprio dolore e quello degli altri, è la preghiera più autentica: è affidarsi e affidare a Colui che è il solo che può raccogliere nel suo otre le lacrime del mondo perché siano accolte, amate, portate, salvate.

ANCHE DIO PIANGE

La preghiera non risolve certamente la tragedia, ma la rende abitata da Dio, perché in ogni dolore Lui è presente. Davanti a questa, come ad altre tragedie, la domanda è: dov’è Dio? E Lui continua a rispondere di essere lì con quei terremotati, con tutti i crocifissi del mondo, in quelle sofferenze che ha portato su di sé. La storia continuerà il suo corso, scriverà il frutto delle mani degli uomini, della loro intelligenza e delle loro inadempienze, della bontà e della malvagità. In essa rimarranno anche tante donne e uomini con le braccia alzate in un atteggiamento di intercessione, come Mosè. Siamo intercessori tra Dio e gli uomini, in mezzo, per affidargli tutta l’umanità, tutta la potenza del male, che ha diversi nomi e luoghi; in mezzo per affidare ogni fratello perché Dio continui a usare misericordia. Nelle tragedie l’uomo piange, ma anche Dio soffre e piange, perché ogni suo figlio è “l’amato”, l’unico. Il Dio di Gesù continua a portare sulle sue mani il mondo lasciando la libertà agli uomini di abitarlo e renderlo o un giardino o un deserto. Pregare è rendersi responsabili di ciò che abbiamo ricevuto: la terra, la vita… e adoperarsi perché tutti possano vivere in condizioni umane, da figli e fratelli, uscendo dall’individualismo per aprirsi alla solidarietà e alla condivisione. La preghiera non rinchiude in un mondo intimistico, ma quando è autentica è una scuola di fratellanza, è un processo che fa passare dall’io al noi e che genera un nuovo umanesimo.

La solidarietà che è nata dalla tragedia di questo terremoto continui nel tempo e trovi la sua sorgente e forza in quella relazione fondante che nasce dal rapporto filiale con il Padre, nel Signore Gesù che ci chiama ad essere strumenti e collaboratori della sua opera di salvezza attraverso il nostro servizio incondizionato ai fratelli. Cristo non ha mani, ha le nostre, che si innalzano per pregare e si abbassano per servire.

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