Le passioni dell’attesa. La paura e la politica

Foto: Oriana Fallaci

SEMPRE PIÙ EMOZIONI

Il nuovo e consolidato approccio dei mass media, social o no, alla storia degli uomini è sempre più quello dell’eccitazione delle emozioni e delle passioni. Non l’intelligenza del mondo, ma l’emozione/passione dal mondo. Dalla pubblicità televisiva alle cronache sportive, dai film ai documentari l’allargamento dell’audience è tenacemente perseguito attraverso il potenziamento delle emozioni. Non la realtà aumentata, ma l’emozione/passione aumentata.

Nella concreta unità dell’essere umano è difficile districare il guazzabuglio costituito da intelletto, emozioni, passioni, sentimenti, corporeità. È un composto in equilibrio instabile. Ma è evidente che una modifica di questo equilibrio produce conseguenze sulle tendenze dello spirito pubblico e perciò sulla politica e sulle scelte di voto. L’eccitazione di paure, desideri, speranze non è certo il frutto di un complotto mediatico. Paura e speranza – metus et spes le cosiddette “passioni dell’attesa” – sono messe in movimento dalle oscillazioni repentine della storia del mondo, in cui l’individuo si trova sballottato. Grandi cambiamenti suscitano grandi paure e grandi speranze. È normale che producano movimenti politici. La diffusione invasivo-pervasiva dei social media, che nessun potere politico può controllare, ha fatto saltare l’illusione di un uso giacobino dall’alto di paure e speranze. Sono correnti profonde e rigagnoli che cercano un alveo. Però la politica le può usare, non necessariamente a fin di bene.

LA PAURA, IL PECCATO PIÙ DIFFUSO

Certo, sono tramontati i pensieri di Hobbes, che sulla paura della morte pensava di costruire lo Stato sovrano; quelli di Robespierre, di Lenin e di Stalin che sul terrore volevano edificare il dominio della Ragione rivoluzionaria. Tuttavia la domanda è legittima: si può incanalare il fiume di lava delle passioni per trasformare l’energia in potenza costruttrice della città umana? Domanda resa più drammatica dallo stato attuale di anarchia del mondo e dalla minaccia terroristica del fondamentalismo islamico. Se “avere paura è un peccato”, come affermava con qualche spavalderia Oriana Fallaci, occorre prendere atto che è il più diffuso. Rovesciare il “patire” in agire razionale virtuoso è divenuta la principale sfida pubblica. Una sfida culturale, prima che politica.

ATTESA E ONNIPOTENZA

Forse, si può incominciare da un’analisi dei fondamenti delle passioni di attesa. Che cosa attendiamo? E’ la domanda che si faceva Cesare Pavese: “Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?”. L’orizzonte dell’attesa si è allargato all’infinito, grazie allo sviluppo tecnico-scientifico, alla comunicazione globale, all’allungamento della vita… Si è gonfiata l’attesa, perché è cresciuta la potenza umana nel mondo fisico-naturale. Attesa enfiata e senso di onni-potenza si richiamano a vicenda, questo dilata quella. Le passioni di attesa si scatenano nello spazio dell’onnipotenza. Facciamo fatica ad accettare la nostra finitudine, che la Bibbia chiama colpa originale. La ragione sussurra che il nostro spazio è breve e fragile, il desiderio e la speranza gridano che è infinito.  Si tratta di una contraddizione costitutiva della nostra presenza nel mondo. Domarla, senza perdere la ragione o la speranza, questo il difficile. Che tuttavia è il necessario.

IL PRIMATO DELLA RAGIONE O I MOSTRI DEL RISENTIMENTO

Il primato del Logos-Ragione è l’essenza della nostra civilizzazione greco-romano-cristiana. Solo in quell’alveo le passioni diventano forze creative. Perdere quella eredità nella comunicazione e nell’educazione significa spalancare le porte ai mostri della rabbia, del risentimento, dell’odio, che si rovesciano distruttivi fuori dall’intimo delle persone nelle comunità e nelle società. Ragione-Logos non è uno slogan neo-razionalistico o neo-positivistico, non è la pretesa di abolire o di geometrizzare le passioni: è il lasciar sorgere sul nostro orizzonte il mondo altro da noi in tutta la sua complessità, senza ridurlo preventivamente a misura delle nostre attese o delle nostre passioni. Il mondo è originariamente un dono, non è una costruzione. C’entra tutto ciò con la costruzione della Città, c’entra con la Politica? Pare di sì. Mario Draghi ha invitato recentemente i governi della UE a “tener conto dei bisogni e delle paure dei cittadini europei”, relativamente a immigrazione, sicurezza, disuguaglianze sociali. Può tener conto, se la politica stessa cavalca l’onda anomala della paura?

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