Papa Francesco rinuncia a Castel Gandolfo: l’appartamento papale trasformato in museo

Nuova storica decisione di Jorge Mario Bergoglio: l’appartamento delle vacanze dei Papi da quattro secoli, situato all’interno del Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo, residenza papale suburbana sui Colli Albani a circa venti chilometri a sud di Roma, chiude.
Il Pontefice venuto dall’altra parte del mondo non è uomo da ferie, infatti, non ha mai soggiornato nel palazzo, parte integrante dell’area di oltre 55 ettari che costituisce il complesso delle Ville Pontificie nella cittadina laziale amata da San Giovanni XXIII e da Joseph Ratzinger. Fu proprio verso Castel Gandolfo, il 28 febbraio del 2013, che fece rotta l’elicottero con Benedetto XVI non più papa in carica a seguito delle sue dimissioni, mentre le campane di Roma suonavano a distesa per salutarlo.
Acquisito dalla Camera Apostolica nel luglio 1596 e incorporato come patrimonio inalienabile della Santa Sede il 27 maggio 1604, il territorio di Castel Gandolfo fu prescelto come luogo di villeggiatura da molti papi, a cominciare da Urbano VIII che, subito dopo la sua elezione a pontefice nel 1623, diede avvio alla costruzione di un edificio sul sito della villa romana dell’imperatore Domiziano, probabilmente sorta a sua volta sull’acropoli dell’antica Alba Longa. Il progetto del palazzo pontificio fu affidato a Carlo Maderno ma Urbano VIII non vi abitò mai preferendo risiedere nella vicina Villa Barberini. Il primo pontefice a villeggiarvi fu Alessandro VII, che completò l’edificio con la facciata principale e l’ala occidentale, cui contribuì anche Gian Lorenzo Bernini. Trascurata per circa un secolo, la villa di Castel Gandolfo tornò a essere frequentata nel Settecento con Benedetto XIV, che la ristrutturò apportandovi modifiche e nuove decorazioni. Altrettanto fece Clemente XIV, che inoltre acquistò la limitrofa Villa Cybo (1773) ampliando a parco l’originario giardino di Urbano VIII.
Occupata e gravemente danneggiata dalle truppe napoleoniche, fu restaurata da Pio VII e Pio VIII. In seguito fu particolarmente utilizzata come residenza estiva da Gregorio XVI e poi, almeno fino al 1870, da Pio IX. Entrambi i pontefici vi apportarono altre migliorie, dal 1870 però, con la fine dello Stato Pontificio, fu abbandonata dai papi, come tutte le altre residenze possedute fuori Roma, per “rinchiudersi” in Vaticano in segno di aperta protesta contro lo stato italiano. Nel 1929, con la nascita dello Stato della Città del Vaticano e il relativo trattato, le ville papali di Castel Gandolfo (cui si aggiungeva la vicina Villa Barberini) furono dichiarate dominio extraterritoriale pontificio e con Pio XI il Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo ritornò a essere la residenza estiva dei papi. Pio XI nelle ville creò una fattoria, con le coltivazioni, il pollaio e le mucche da latte, che ancora oggi rifornisce quotidianamente dei suoi prodotti la Città del Vaticano. Giovanni XXIII si rifugiava qui volentieri, Paolo VI è morto nell’appartamento papale il 6 agosto 1978, Giovanni Paolo II si divertiva a giocare a rimpiattino con i figli dei dipendenti del palazzo, Benedetto XVI osservando lo splendido panorama suonava il pianoforte.
Dal 21 ottobre si cambia, l’appartamento papale diviene un museo, il Vaticano lo annetterà alle altre stanze del palazzo che da oltre un anno sono visitabili da fedeli e turisti. Già dal settembre 2015 la Santa Sede, per volere di Bergoglio, in segno di condivisione, per la prima volta, ha aperto al pubblico la propria antica stazione ferroviaria. Ogni sabato, pellegrini e turisti, possono accedervi per prendere un trenino messo a disposizione dalle Ferrovie dello Stato in collaborazione con i Musei Vaticani, che li conduce direttamente fino a Castel Gandolfo. Ora sarà accessibile anche l’appartamento pontificio: l’anticamera, con una Madonna di Carlo Dolci, lo studio, risistemato sotto Pio XI, con dipinti del Dolci e di Paolo Veronese e una scrivania con lo stemma di Pio VII. Inoltre la sala da pranzo di Clemente XIV, decorata da Angeloni e Cristoforo Unterberger; la camera; la cappella privata, voluta da Pio XI, con una copia della Madonna di Czestochowa e dipinti del pittore polacco Rosen, ricordi del periodo in cui Pio XI fu nunzio apostolico in Polonia. Gli appartamenti sono completati dalla stanza della toilette, con lacerti di affreschi medioevali dell’antico castello dei Gandolfi e dei Savelli; dalla stanza dello scopatore segreto e dalla sala dello Scalco, affrescata con nature morte di Salvator Rosa.
Il 21 ottobre il nuovo museo sarà inaugurato con l’esibizione di un coro di musica popolare cinese. “La bellezza ci unisce”, è l’emblematico titolo di uno spettacolo perché l’idea guida di Bergoglio resta sempre quella di abbattere mura per costruire ponti, anche culturali.