Tempi di muri, tempi di recinti. La chiamavano globalizzazione

Foto: il muro che divide Israele dalla Palestina

È stato uno dei primi ordini esecutivi firmati da  Donald Trump: la progettazione di un muro al confine col Messico per limitare l’immigrazione clandestina. L’altezza non è ancora decisa. Anche perché, in proposito, le idee del nuovo Presidente degli Stati Uniti durante la campagna elettorale erano piuttosto confuse: all’inizio parlò di  “9, 12 o 15 metri”, poi si stabilizzò sui 15; dopo la dura critica di Vicente Fox, ex Presidente messicano, arrivò a 16 metri. Al momento le stime che circolano di più parlano di un muro di circa 12 metri, ma sono tutte supposizioni. Certa invece è la lunghezza. Il confine fra Stati Uniti e Messico è lungo poco più di tremila chilometri: nei punti più sensibili esiste già una serie di strutture che fanno da barriera, lunghe in totale un migliaio di chilometri. Se il muro verrà costruito, queste strutture andranno sostituite: per circa 560 chilometri sono composte da una semplice recinzione alta 5 metri, mentre per poco meno di 500 chilometri da una barriera molto bassa che serve semplicemente a impedire il passaggio dei veicoli. Trump sostiene che il nuovo muro, invece, dovrà essere lungo circa 1600 chilometri – quindi poco più della metà della lunghezza del confine – perché l’altra metà del confine sarà protetta da ostacoli naturali come montagne e corsi d’acqua. Un muro di cemento armato e di acciaio che dovrebbe costare attorno ai 30 miliardi di dollari.

Dappertutto muri. In Europa

Sono passati quasi ventotto anni dalla caduta del Muro di Berlino, il simbolo di un’epoca e di un mondo che vincitori e vinti avevano divisi in due blocchi. Chi può dimenticare la  notte magica e libertaria del 9 novembre del 1989, con il muro che cade e i berlinesi dell’Est che frugano l’Ovest, una città sommersa da una massa umana fatta di colori, emozioni, curiosità, frenesie, rivincite? I ragazzi che ballano davanti alla Porta di Brandeburgo,  molti a cavalcioni del muro prossimo ad essere distrutto, Berlino finalmente città aperta. La distruzione di quel muro aveva illuso tanti di noi. Cosi non è stato. Il mondo torna a dividersi, a proteggersi, a chiudersi.  In Europa, in Africa, in Asia, in America. Dappertutto chilometri di muri, barriere, steccati per esorcizzare la paura della grande invasione.

Pensate alla barriera di separazione costruita, un anno e mezzo fa, tra Ungheria e Serbia: una recinzione metallica, alta tre metri e mezzo, lunga 175 chilometri, posta sul confine dei due stati per respingere gli immigrati in arrivo dai Balcani. O quella tra Bulgaria e Turchia innalzata non molto tempo fa: 268 chilometri di reti metalliche e filo spinato, vigilate, ogni 100 metri, da un soldato di guardia.

In Africa

In Africa è nota la barriera tra Botswana e Zimbabwe. È lunga quasi 500 chilometri e il Botswana l’ha voluta per proteggere il bestiame da eventuali epidemie e dalle aggressioni dei predatori. Terminata nel 2003 è un deterrente contro gli immigrati. La rete, alta dai due ai tre metri ed elettrificata, attraversa parchi nazionali, villaggi, isola corsi d’acqua e laghi.  Nel continente nero meno conosciuto, ma più imponente è il muro costruito dal Marocco nel Sahara occidentale. La barriera è stata costruita tra il 1982 e il 1987 ed è lunga 2.720 km. L’obiettivo di Rabat è di contenere gli assalti delle milizie del Fronte Polisario. La struttura è costituita da terrapieni di sabbia, muretti, postazioni armate e da una rete di radar. La presidiano circa 100mila soldati marocchini e, di fronte a essa, sono state interrate circa due milioni di mine.

In Asia

È stata edificata da poco la barriera che l’Arabia Saudita a costruito a nord per difendersi dall’ISIS. Un muro che fa da confine, affiancato da un canale e intervallato da torri radar di sorveglianza, centri di comando e posti di guardia. Parte dalla Giordania, percorre  la frontiera con l’Iraq per arrivare fino al confine con il Kuwait, comprende 78 torri di controllo, otto centri di comando, 10 mezzi di sorveglianza mobile, 32 centri di intervento rapido, tre squadre di intervento. I radar captano la presenza di persone fino a 12 miglia e di veicoli fino ad una distanza di 24 miglia. L’Arabia Saudita aveva terminato, nel 2013, anche la barriera – lunga 1800 chilometri – per separarla dallo Yemen.

Non troppo lontano, è il muro costruito nel 2007 tra Iran e Pakistan. Alto tre metri e lungo 700 chilometri. Uno spessore di 90 centimetri, composto da terra e pietra, con fossati, filo spinato e postazioni della polizia iraniana per tutta la lunghezza. Muro eretto come naturale prosecuzione della politica di protezione iniziata con la costruzione del muro tra Iran e Afghanistan, lungo ben novecento chilometri.

In Medioriente

E poi il “Muro” per eccellenza, quello che divide Israele dalla Palestina, Gerusalemme da Betlemme. In pratica, il Muro divide due mondi, due popoli, due culture, che, fino a poco tempo fa, cercavano di convivere pur nelle loro differenze. Lungo più di settecento chilometri, il muro ingloba la maggior parte delle colonie israeliane e la quasi totalità dei pozzi. Esso si discosta in certi posti a più di 28 chilometri dalla linea verde, il confine precedente la guerra dei Sei Giorni del 1967. Il suo tracciato è stato modificato decine di volte, su domanda dei palestinesi, degli europei e della Corte Suprema di Giustizia israeliana.

Insomma, viviamo in un mondo che si dice globalizzato. Certo per il lavoro e le merci, certamente per il capitale e la finanza. Certo non per gli uomini e le donne che vi abitano. Un mondo al contrario. Che ingrassa i populisti.  Chiuso in se stesso, aggredito da paure, prigioniero di un egoismo che lo rende più solo, incapace di immaginare un futuro che non ripeta gli errori (e gli orrori) del passato.

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