Il caso di Tiziano Renzi. Mass-media, magistratura e dintorni

Foto: Tiziano Renzi, padre dell’ex-premier

È di nuovo scontro

L’ennesimo intreccio tra mass-media e azione della magistratura – nel caso di Tiziano Renzi – con l’inevitabile trasformazione in sentenze mediatiche definitive di sospetti, indizi, chiacchiere, pizzini ripescati in discarica e ricomposti come puzzle, tesi accusatorie, fughe illegali di materiali giudiziari riservati, prima che l’azione della magistratura inquirente faccia il suo corso e arrivi a sentenza – peraltro in ben tre lunghissimi temporalmente gradi di giudizio – potrebbe far pensare semplicemente ad una manovra orchestrata. L’altro ieri contro Craxi e Andreotti, ieri contro Berlusconi, oggi contro Renzi… Gli indizi di manovra sono pesanti: il protagonismo politico di alcuni magistrati e di politici ancora in servizio in magistratura, le liaisons dangereuses tra singoli politici e singoli magistrati, lo scontro tra la corporazione dei magistrati – gelosi difensori dei loro 45 giorni di ferie e contrari alla separazione delle carriere tra Pubblico ministero e Giudice – e il governo, l’entrata a gamba tesa nel campo della politica di parecchi magistrati e di un’intera Associazione – Magistratura democratica – le esternazioni savonaroliane di Davigo, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, la costante violazione del segreto istruttorio da parte dei magistrati…

Non è un complotto. È assai peggio

No, non si tratta di un complotto. E’ assai più grave. Si tratta di ordinaria manifestazione di una patologia cronica delle relazioni tra politica, magistratura e mass-media, che dura da qualche decennio. Sullo sfondo sta il grande ghiacciaio nero della corruzione, che il vento caldo della rabbia e della rivolta morale della società civile e della buona politica non è riuscito a sciogliere. A tal punto che siamo tentati di disperare, quasi che la corruzione sia il destino antropologico degli Italiani. Ma poichè la morale non consiste nell’indignarsi, converrà fare un uso appropriato dell’intelligenza comprendente. All’origine di tutto sta l’indebolimento fatale della politica, cioé dei partiti.

I partiti e la “presa dello Stato”

Grazie al sistema dei partiti si è ricostruito lo Stato e, insieme, un alveo di rappresentanza della società civile uscita dalla tragedia della guerra. Nei partiti si è riversato il meglio della società civile del secondo dopoguerra, che si accingeva ad entrare in un vorticoso e disordinato sviluppo. L’articolo 49 della Costituzione – Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale – esigeva che si facesse da subito una legge che garantisse i cittadini circa le procedure democratiche di formazione del consenso interno ai partiti. Furono i comunisti a opporsi fieramente, temendo di diventare partiti controllati dallo Stato, cioé dal governo di turno. Di fatto i partiti sono rimasti soggetti privati, legibus soluti, con un immenso potere pubblico. E per una fatale deriva sono diventati padroni dello Stato, in ciò continuando esattamente la tradizione ventennale del fascismo. Cominciò per prima la DC con i suoi satelliti minori. Con il centro-sinistra venne coinvolto il PSI. Negli anni ’70 e ’80 anche il PCI. Il consenso elettorale crescente giustificò la presa sullo Stato, l’occupazione di settori importanti della società civile, l’espansione degli apparati di partito. I partiti sono apparsi sempre più ai cittadini/elettori come enormi apparati autoreferenziali. Il sistema elettorale ha favorito questa deriva, perchè i cittadini iscritti ad un partito potevano, sia pure faticosamente, influire sulle scelte dei candidati alle elezioni, ma poi gli eletti tornavano totalmente in mano ai segretari dei rispettivi partiti. Nel frattempo la società del dopoguerra mutava rapidamente, cresceva in istruzione, si secolarizzava, pretendeva protagonismo.

La crisi dei partiti e l’emergere della magistratura

Da questo punto di vista, il ’68 fu il segnale di rottura, quale che sia stato in seguito il destino fallimentare delle piccole formazioni politiche che ne sono uscite. Quanto più i partiti invadevano lo Stato e vi si abbrancavano per stare a galla – questa d’altronde fu la clamorosa denuncia dell’intervista di Enrico Berlinguer a Scalfari il 28 luglio 1981 – tanto più si allontanavano dalla società civile. Enrico Berlinguer lanciò così nel dibattito pubblico “la questione morale”, la cui soluzione doveva consistere nel “governo degli onesti”. Di Pietro e Grillo ancora non sapevano che questa sarebbe stato il loro slogan vincente. Ciò che Berlinguer non capì era che non bastava togliere di torno i corrotti per via giudiziaria e mettere al loro posto gli “homines novi” – l’eterna illusione di ogni moralista; bisognava cambiare radicalmente il rapporto dei partiti con la società civile e, quindi, con lo Stato: partiti regolamentati per legge, gruppi dirigenti contendibili, non oligarchie e caminetti. E fu così che la politica incominciò a collassare, i tre poteri di Montesquieu si sono scomposti. Mentre i partiti si indebolivano nell’opinione pubblica, la magistratura emergeva quale nuovo soggetto redentore rispetto ad una società civile inquieta, corrotta a sua volta nella giungla delle sue lobby e corporazioni, e ad una politica che la rispecchiava. Il potere giudiziario è diventato sempre più arbitro del potere politico e della democrazia. Più in generale i TAR e la Corte costituzionale e la magistratura ordinaria, come ha osservato recentemente Sabino Cassese, stanno esondando in campi, dove la politica è diventata afona, indecisa, impopolare. Quanto ai mass-media, hanno alimentato le rabbie per anni con articoli e talk-show vocianti e sguaiati, scagliandole contro il Potere, il Sistema, la Politica…, senza mai abbandonare il facile orizzonte del moralismo di prima serata. L’unico criterio è diventata l’audience ad ogni costo, lo share: cioè, l’uso immorale della questione morale. Ora, siamo ormai cinicamente abituati alle esplosioni delle bombe-carta giudiziario-mediatiche. Il loro scopo è generare un effetto politico adesso, perchè domani si scoprirà, come successo altre volte, che la bomba era, appunto, di carta. Tuttavia, di botto in botto, la società civile si anestetizza, la corruzione continua il suo giro, i partiti e le correnti di partito usano gli eventi per guerricciole locali, l’antipolitica si allarga. Intanto, il Paese collassa. Solo un soprassalto di responsabilità nazionale e riforme istituzionali ed elettorali che rimettano i pezzi al loro posto potrà farci uscire dalla palude maleodorante, in cui stiamo immobili da tempo.

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