Il celibato è un dono, non un dogma

“La vocazione dei preti rappresenta un problema enorme” e “la Chiesa dovrà risolverlo”, ma “il celibato libero non è una soluzione”. E non è una soluzione aprire le porte dei seminari a persone che non hanno un’autentica vocazione. Non è permettendo ai futuri preti o a chi è già prete di sposarsi che si risolve il problema della crisi di vocazioni.

Il Signore ci ha detto: pregate. È questo che manca, la preghiera. E manca il lavoro con i giovani che cercano orientamento.

Un lavoro “difficile” ma “necessario” perché “i giovani lo chiedono”. Ed ancora:

Dobbiamo riflettere se i viri probati siano una possibilità”, e “dobbiamo anche stabilire quali compiti possano assumere, ad esempio in comunità isolate”.

Cosi papa Francesco nell’intervista rilasciata al giornale tedesco Die Zeit.

Il Papa conferma quella che, a dispetto di quanto i suoi malevoli detrattori continuano a mormorare, è, sin dall’inizio del suo pontificato, la sua posizione al riguardo. Ha più volte ripetuto, anche in passato, che il celibato è un dono, non un dogma.

Il celibato sacerdotale non è un dogma di fede ma una regola di vita che io apprezzo tanto: un dono per la Chiesa. Non essendo un dogma di fede, sempre c’è la porta aperta ma in questo momento sono altri i temi sul tappeto (maggio 2014, sull’aereo durante il viaggio di ritorno dalla Terra Santa).

Una questione di convenientia

Dunque la questione del celibato è sempre stata una questione di disciplina più che di dottrina. Nulla di dogmatico, quindi, ma piuttosto una questione di convenientia. Sia sul piano pratico (non avere troppe preoccupazioni terrene) sia su quello, potremmo dire, dell’immagine (il prete celibe come testimone del soprannaturale) il celibato sembrava dare maggiori garanzie rispetto alla possibilità di sposarsi.

Più di ottocento anni fa, nel 1179, il Concilio Lateranense III stabiliva che il celibato ecclesiastico non è di natura divina, ma solo canonica, cioè rappresenta una tradizione che appartiene alla disciplina della Chiesa latina. In questo modo il Lateranense III decideva di non mutare la “disciplina apostolica” dei primi sette primi concili ecumenici (riconosciuti anche dalla Chiesa ortodossa), che rendeva possibile l’ordinazione presbiterale anche di uomini sposati (Andrea Tornielli).

Non, invece, la possibilità di sposarsi dopo l’ordinazione. Le Chiese orientali – ortodosse e cattoliche – prevedono infatti l’ordinazione di seminaristi già sposati, ma non il matrimonio per i preti già ordinati. Mentre la Chiesa latina ha scelto di ordinare soltanto uomini celibi. Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nel decreto «Presbyterorum ordinis», riconosceva che la scelta celibataria non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio.

D’altronde, nella Chiesa cattolica sono sempre esistiti uomini sposati che lecitamente ordinati esercitano il ministero sacerdotale: sono quelli di rito orientale cattolico. Preti sposati, una pratica tradizionale nelle Chiese orientali sia ortodosse sia cattoliche, e che è stata pienamente confermata dal Vaticano II. Ci sono però, anche nella Chiesa di rito latino, sacerdoti sposati nel pieno e legittimo esercizio delle loro funzioni sacerdotali. Si tratta di ministri che sono passati alla Chiesa cattolica provenendo dall’anglicanesimo o da altre Chiese e gruppi cristiani.

Ricorda ancora Tornielli come nel giugno 2014 Papa Francesco con un apposito decreto abbia permesso ai sacerdoti sposati orientali di operare nelle comunità cristiane della diaspora, dunque al di fuori dei loro territori tradizionali. Con questo il Papa abrogava precedenti divieti esistenti. Una risposta per venire incontro alle esigenze dei fedeli. E fino ad ora è stata l’unica decisione presa dall’attuale Pontefice collegata con questa materia.

Poca enfasi, più sostanza

La questione del celibato obbligatorio dei preti è complessa, anche solo perché, con alterne vicende, è rimasta costantemente all’ordine del giorno nel corso degli ultimi decenni. Le di­scussioni, infatti, continuano ancora in tante realtà di base e incrociano posizioni diverse. Qualcuno sottoli­nea la difficoltà di una ricostruzione storica at­tendibile del celibato. Altri affermano la convenien­za di inquadrarlo in qualche forma di pratica comunitaria e all’interno di un programma di vita spiritualmente intenso e impegnato. Altri ancora, pur apprezzando il suo valore intrinseco, auspicano an­che la possibilità di ordinare uomini di provata fede, anziani, sposati o vedovi e di valido impegno pastorale. Sono i viri probati richiamati nell’intervista di papa Francesco.

Infine ci sono pure le voci – non poche, in verità – di chi chiede l’abolizione della sua obbligatorietà, riportandolo alla sua originaria natura di scelta d’elezione e quindi non impo­sta obbligatoriamente. Perché, dicono costoro, in un regime di libertà, la scelta sarebbe più motivata.

Saggiamente Basilio Petrà, raffinato teologo morale che ha scandagliato a lungo il tema, sostiene:

I carismi non vanno esaltati l’uno in opposizione all’altro, ma l’uno in armonia con l’altro. Anche perché ciò che realmente conta non è la consistenza o configurazione oggettiva dei carismi, ma la qualità interiore – umana, morale, spirituale – della persona.

Come a dire, poca enfasi più sostanza. Umana, morale, spirituale. Una bella sfida, per chi – con queste ferita nella carne, perché tale è il celibato – ogni giorno racconta la tenerezza di Dio.