La storia di Monsieur Javert, l’uomo che restò in equilibrio su un uovo, e il grande potere della speranza

Non è un tradizionale racconto pasquale quello fantasioso e un po’ surreale di Monsieur Javert, custode degli elefanti in un bizzarro circo degli Anni Cinquanta, ma una fiaba simbolica che parla di rinascita partendo dalla fragilità dell’essere umano. Nella vita di Monsieur Javert – come in quella di molti di noi – c’è una distanza apparentemente incolmabile tra grandi sogni e la capacità di trasformarli in realtà.  Ma la sua vicenda mostra come l’impossibile e l’inaspettato possa trovare posto all’improvviso nelle nostre vite, a patto che ci trovi disposti a fargli spazio.

Non v’era nulla di più importante per Monsieur Javert del trovare un’idea.

Vi rifletteva giorno e notte con metodo razionale. Analizzava premesse, dati, obiettivi. Poi sbrigliava i pensieri, li lasciava vagare verso un’ispirazione spontanea, casuale, che gli facilitasse l’insorgere di uno spunto per la fuga dall’Olimpo.

Detta così può sembrare una storia che abbia a che vedere con dei e ninfe. Sono tuttavia obbligato a informarvi che essa non s’occupa affatto di simili esseri. Riguarda piuttosto un piccolo circo di provincia degli anni Cinquanta e, più esattamente, il maleodorante alloggio degli elefanti che Javert era stato assunto per pulire.

Olimpo, lo chiamava l’illusionista. Non per la forza titanica degli animali, quanto per la pendenza verticale degli escrementi che essi generavano al termine d’ogni pasto.

Monsieur Javert aveva accettato l’incarico di buon grado, e non  aveva mosso obiezioni quando aveva ricevuto in dotazione un badile e una carriola malconcia, perché credeva ch’essi fossero una condizione di passaggio, una marchetta necessaria per raggiungere il suo più grande sogno: diventare un artista circense.

Dal primo respiro all’ultimo barlume di coscienza prima d’addormentarsi, cercava difatti un’idea che dal puzzolente dietro le quinte lo portasse sotto i riflettori, al centro della pista. Eppure, per quanto si sforzasse, non un solo pensiero originale gli attraversava la mente. Niente di abbastanza stravagante, o pericoloso, o stupefacente.

I giorni trascorsero, così come le settimane, i mesi, gli anni, e Javert, che aveva passione ma non dimostrava una particolare propensione per il mondo dell’intrattenimento, s’arrese all’evidenza che al suo desiderio non corrispondesse alcun tipo di capacità. Non aveva coordinazione per la giocoleria, né simpatia per la clownerie. E tantomeno aveva la risolutezza che serviva al domatore per tenere a bada i felini.

Tutto quel che aveva – ne dava dimostrazione ogni giorno occupandosi dell’Olimpo -, era la naturale propensione al prendersi cura degli animali. Qualità inadeguata, benché ammirevole, a sollevare l’interesse di uno spettatore.

Una sera di inizio aprile, mentre gli artisti si saziavano degli applausi dello spettacolo, Javert si recò nel recinto degli elefanti e si sedette tra loro. Erano due, una femmina e un vecchio maschio con le zanne dipinte di smalto bianco. Javert s’arrampicò in equilibrio sulla schiena della femmina e si mise a cavallo delle sue orecchie.

-Fortuna che ci siete voi- la carezzò.

L’elefantessa gli sorrise.

In quegli anni era sorto tra di loro un sentimento di amicizia sincero, rafforzato dalla comune convinzione di essere entrambi condannati a vivere, a modo loro, in gabbia.

-Dovrei arrendermi all’evidenza- disse. -Non ho alcun talento per il circo. Non so danzare, non so saltare, non so fare ridere. Con le cose che non so fare ci potrei riempire il mondo. Dovrei tornare a casa, in città, trovare un lavoro da impiegato, svegliarmi la mattina alle sette e andare a dormire alle dieci, costruire una famiglia-.

L’elefante lo guardò desolato.

-Non dovete temere. Troverete qualcun altro che abbia cura di voi-.

L’elefantessa si alzò scrollandoselo di dosso, andò nell’angolo del recinto, e da un mucchio di paglia prese un uovo di dimensioni -c’è poco da stupirsi-, pachidermiche.

Monsieur Javert lo guardò esterrefatto. -Un uovo?-

L’elefantessa annuì, cinse Javert con la proboscide sollevandolo da terra, e lo poggiò con i piedi sopra l’uovo, in equilibrio perfetto. Poi con un balzo gli saltò sulle spalle e restò a sua volta in equilibrio. Un’elefantessa in equilibrio su un uomo in equilibrio su un uovo.

-È facile – rise Javert senza avvertire alcuno sforzo nel sorreggere l’elefante, né nel trovare la coordinazione per passeggiare e ballare in equilibrio sull’uovo.

Il giorno seguente Javert si recò dal direttore del circo e gli presentò il numero. Nessuno, ne era certo, era mai riuscito a stare in equilibrio su un uovo tenendo un elefante sulle spalle.

Il direttore lo guardò incredulo, e non vi fu modo di convincerlo se non mostrandogli l’esibizione. -Grandioso- disse a quel punto pregustando sui baffi il sapore dei soldi che avrebbe guadagnato con un numero tanto singolare. -Preparatevi per sabato, spettacolo serale- e sollevò la cornetta del telefono.

La pubblicità fu assillante, gli strilli sui giornali non risparmiarono superlativi e iperboli, e il notiziario radiofonico non fece che parlarne. La voce si sparse e i biglietti andarono a ruba in poche ore.

La sera di sabato, a pochi istanti dall’esordio in scena, Monsieur Javert sentì un formicolio eccitato intorno al cuore.  -Grazie- disse all’elefantessa abbracciandola per il dono che gli aveva fatto.

Varcarono il sipario insieme, come una coppia di vecchi amici. Monsieur Javert poggiò l’uovo al centro della pista e allargò le braccia. L’elefantessa lo avvolse con la proboscide e lo sollevò in alto, sopra gli sguardi attoniti dei presenti assiepati sulle tribune, arrampicati sui pali del tendone, seduti e appoggiati gli uni agli altri a bocca spalancata.

Monsieur Javert assaporò quegli istanti come punto d’arrivo di quegli anni tormentati. Poggiò i piedi sull’uovo e cercò una posizione d’equilibrio quando sentì uno scricchiolio, perse il baricentro e cadde rovinosamente.

Una crepa segnò il guscio per tutta la sua lunghezza, crepitando a scatti. Javert guardò l’elefantessa, si rialzò velocemente e corse verso l’uovo nella speranza di ricomporlo, ma dalla crepa aveva già fatto capolino il muso di un elefante azzurro e l’uomo non poté fare altro che prenderlo in mano e portarselo al cuore.

Attese rassegnato lo sciabordare di fischi e insulti, le accuse e le offese accanite per il fallimento del suo numero. Invece dall’angolo del tendone una vecchia signora ingioiellata s’alzò in piedi e batté le mani. In tutta la sua esistenza non aveva mai visto niente di tanto eccezionale. -Su, che fate, applaudite!- esortò i vicini di posto.

Lentamente si diffuse un timido applauso, cui Javert e l’elefantessa risposero con un inchino. Poi l’applauso crebbe e anche l’elefantino s’inchinò a ringraziare. Si scatenò allora una risata che sciolse i cuori e gli applausi si fecero scroscianti, a sottolineare che a volte val la pena credere alle cose più incredibili, come l’idea di un uomo in equilibrio su un uovo con un elefante sulle spalle, pur di assistere a una vera rinascita.