Dopo il primo turno francese. La fuga dai partiti, il populismo, e la paura come strumento politico

“L’impegno politico – come diceva Vittorio Bachelet – non è altro che una dimensione del più generale ed essenziale impegno a servizio dell’uomo”. Non è facile però definire cosa questo significhi per gli uomini e in particolare per i cristiani di oggi, in un momento in cui assistiamo a una generale “destrutturazione del sistema politico”, come ha scritto in questi giorni il politologo Mauro Calise commentando il risultato del primo turno delle elezioni presidenziali francesi.
Seguendo il filo suggerito da BergamoFestival, «Paure locali, risposte globali» (ne parliamo nel dossier), affrontiamo il tema dal particolare al generale, a partire da una storia personale, o meglio, da un film: «A casa nostra» di Lucas Belvaux (a Bergamo al Cinema Capitol, ore  21).
La protagonista è Pauline, madre single di due bambini, che vive in una piccola città, in un distretto minerario nel nord della Francia. Una trentenne bella, dolce, gentile con tutti: fa l’infermiera domiciliare e si prende cura anche di suo padre, un anziano, malato, scorbutico comunista. Non si occupa di politica finché il suo medico di famiglia, un tale Berthier, le propone di candidarsi come sindaco per un partito di estrema destra, guidato da una donna di grande personalità, Agnès Dorgelle, un personaggio liberamente ispirato a Marine Le Pen. Pauline inizialmente esita, ma poi si lascia sedurre: la manipolazione di Agnès è molto sottile, fa leva sull’istinto, sui piccoli egoismi, sulle frustrazioni personali, sul desiderio del «popolo» di dire la sua. Sotto la superficie rispettabile corrono concetti e idee umanamente inconcepibili, ma nessuno sembra farci troppo caso. La stessa Pauline non si rende conto di essere soltanto un volto prestato al partito, scelto per la sua rispettabilità e per il suo appeal sociale. Lo farà quando le conseguenze sulla sua vita personale diventeranno evidenti, e ne pagherà il prezzo.

Il film di Belvaux è impegnato, non propriamente «militante», anche se chiaramente schierato: riesce a descrivere con efficacia, usando la finzione, una serie di dinamiche politiche e sociali in atto, non solo in Francia. Emerge, per esempio, il successo di una politica sempre più svincolata da valori, ideali, partiti e legata solo alle persone. Come scrive Diego Motta su Avvenire, «non servono più personalità a servizio di correnti e ideologie, ma creature fatte a immagine e somiglianza del capo, a cui è chiesto il compimento di una missione: interpretare lo spirito dei tempi, nei panni del paladino delle folle e dell’eroe anti-sistema». Da qui una nuova specializzazione del marketing politico, capace di costruire candidati “ad hoc”. E poi «A casa nostra» mette l’accento sulla distanza crescente tra centro e periferia, che alimenta paure, aggressività, rancore, odio, rende urgente la necessità di trovare risposte al malcontento, e spinge a seguire chiunque le offra, senza saper distinguere tra realtà e illusione.

Belvaux costruisce un racconto complesso, in cui le storie personali compongono un quadro in rapida evoluzione, con un finale sostanzialmente irrisolto. Ha il pregio di mostrare come le paure possono essere trasformate in un (potente) strumento politico. Lascia affiorare vecchie (e spaventose) dinamiche dietro progetti apparentemente “nuovi”. Mette in luce metodi e rischi dei nuovi mezzi di persuasione di massa (social network). E trasporta tutto questo in fretta sulla nostra pelle, perché identificarsi nella vita dei suoi personaggi, nel ritmo quotidiano di una piccola città, non è così difficile. Una visione che solleva domande più che offrire risposte e che può tradursi in un invito (e qui torniamo al BergamoFestival) a staccarsi dalla massa «a-critica» e a fare appello alla responsabilità personale, sapendo che la paura costruisce muri, ma la conoscenza e il pensiero condiviso possono distruggerli.