Ong e migranti: don Soddu (Caritas italiana), “Il processo mediatico è un pretesto, perché non si trovano soluzioni politiche”

“Se il retro pensiero di chi attacca costantemente il lavoro delle Ong, è quello di arrivare a rinunciare all’attività di soccorso e salvataggio nel Mediterraneo, per evitare che queste persone raggiungano il nostro Paese, è bene che venga detto apertamente al fine di creare le condizioni per un confronto chiaro e aperto su un tema che riguarda i diritti umani”. Lo ha affermato oggi don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, durante il convegno al Senato sul tema “La grande bugia delle navi-taxi. Le Ong e il soccorso in mare dei migranti”. “Certamente – ha precisato – vedremmo con maggior favore un dibattito nel quale le posizioni siano chiare, piuttosto che questa ipocrisia istituzionale. Ad oggi, infatti, nel serrato dibattito che è scaturito dalla vicenda delle Ong, non abbiamo ancora ascoltato proposte alternative per la gestione dei flussi migratori”. Don Soddu ha ricordato che Caritas italiana ha fatto al riguardo la scelta chiara dei corridoi umanitari, “unica alternativa legale e sicura per chi oggi è bloccato in molti Paesi in attesa di raggiungere l’Europa con i barconi”. “Questa non è solo un’operazione umanitaria – ha sottolineato – ma soprattutto un messaggio politico a chi è troppo timido nel fare scelte coraggiose e necessarie in un periodo nel quale le migrazioni costituiscono non un accidente storico ma un fenomeno strutturale”.
“Stiamo assistendo ad un processo mediatico contro chi ha creduto che salvare delle vite fosse un gesto necessario di umanità. Ma così non sembra. Le accuse, spesso non circostanziate, che piovono su queste organizzazioni appaiono un pretesto per distogliere l’attenzione dalle evidenti fatiche nel trovare soluzioni politiche a più ampio spettro nella gestione di questo fenomeno”. Lo ha detto oggi mons. Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, nel suo intervento durante il convegno in Senato sulla “grande bugia delle navi-taxi”. “È evidente – ha osservato – che in assenza di altre vie legali e sicure di ingresso, oggi per i migranti e i rifugiati l’unica possibilità di raggiungere l’Europa è quella di attraversare questo ampio braccio di mare sperando di non morire durante la traversata. E ciò che si sono prefissate queste organizzazioni umanitarie, insieme alla Marina, è proprio quello di evitare la morte a questi uomini, donne e bambini che cercano un futuro lontano dalla propria terra e lontano dall’inferno libico”.
“Affermare che le navi che svolgono il salvataggio in mare costituiscono un pull factor – ha chiarito -, significa non solo condannare molte persone a morte certa, ma anche un’ammissione di responsabilità nell’incapacità di individuare soluzioni durature a partire dalla stabilizzazione dei contesti di origine e di transito”.

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