I vitalizi dei parlamentari. Un problema complesso e molta retorica

Un gomitolo molto intricato

La questione dei vitalizi dei parlamentari occupa da giorni le pagine dei giornali e di tutti i media. Ci si può scandalizzare di questa emergenza mediatica, mentre pare che la vicenda dell’immigrazione e altre di portata internazionale passino in seconda fila. Tuttavia quello dei vitalizi parlamentari è un gomitolo multicolore, nel quale si intrecciano fili diversi: costituzionali, giuridici, socio-economici, politici e morali. È diventato il principale terreno di battaglia culturale pro/contro il populismo. Ha a che fare con le prossime elezioni. Di qui la fibrillazione. Proviamo a dipanare.

Non è un mestiere con tutti gli altri

Intanto la professione di deputato/senatore non è un mestiere come gli altri. La professione di “delegato” della volontà popolare a decidere sulle questioni grandi e piccole dello Stato, dell’Amministrazione, dell’Economia, della Società è “una meta-professione”, che richiede una protezione pubblica particolare, per impedire che solo chi ha soldi possa andare in Parlamento e per tenere al riparo l’eletto da condizionamenti esterni. Chi fa questa meta-professione è costretto a interrompere la sua professione civile; per i dipendenti pubblici è più facile, perché possono usufruire dell’istituto dell’aspettativa. Per chi esercita attività professionali private è assai più difficile.

Il perché del vitalizio

Di qui l’istituzione del vitalizio a partire dal 1956; insomma, una sorta di fondo-pensione, la cui entità era legata agli anni di legislatura. La storia ci informa che l’aumento degli stipendi parlamentari andò ben oltre i livelli dell’inflazione e la cronaca ci dice che esistono pensionati eccellenti con vitalizi mensili che oltrepassano i 30 mila euro. Se uno ha fatto il deputato, il senatore, il ministro, il capo di governo e il Presidente della Repubblica, sempre cumulando legalmente stipendi, ci si meraviglierebbe del contrario. Il meccanismo finì per diventare ben presto una modalità automatica di finanziamento dei partiti. I deputati del PCI versavano al partito la metà o più del loro stipendio. In compenso la campagna elettorale successiva sarebbe stata a carico totale del partito. Negli altri partiti, segnatamente nella DC, valevano altre regole: gli stipendi venivano accantonati per finanziare personalmente la prossima campagna personale. Il sistema elettorale delle preferenze “costringeva” a questo accumulo primario, sempre meno sufficiente.

I movimenti “contro” e il referendum do 4 dicembre

Nessuno o quasi si lamentò di questa deriva, finché i partiti riuscirono a dare l’impressione di essere utili al Paese, in primo luogo governandolo e risolvendo i problemi dei cittadini. Alla fine degli anni ’80/inizi anni ’90 si sollevarono quattro movimenti: la Lega-Nord, il Movimento referendario, la Rete, l’Italia dei Valori che denunciarono con forza il fallimento istituzionale, politico e etico del sistema dei partiti e della politica. Ci si attendeva dai partiti una risposta risolutiva: un cambiamento del sistema istituzionale e di governo, un nuovo e coerente sistema elettorale, un rinnovamento della classe dirigente politica. Non c’è stata. La vittoria del NO nel referendum del 4 dicembre 2016 ha confermato tutta la vecchia politica e il vecchio sistema dei partiti. Dei partiti è rimasto intatto lo scheletro di potere, la legittimazione è scomparsa.

La rabbia del cittadini e le fortune del M5S

Di qui la rabbia di molti cittadini, che hanno trovato nel M5S l’ultimo canale di sfogo: abolire la rappresentanza e la delega, praticare la democrazia diretta, ciascuno si autorappresenta ogni giorno. I parlamentari sono solo dei portavoce, decide le soluzioni di governo il grande Algoritmo. Da quando la Grande rabbia si è presentata in Parlamento e da quando vanta previsioni del 30% alle prossime elezioni, il Pd ha incominciato una rincorsa a precipizio sui temi della casta e degli stipendi. In ogni caso, i vitalizi sono stati aboliti dal 2012: si va a sistema contributivo. Ma non sono stati toccati gli stipendi dei consiglieri regionali: quelli siciliani oscillano tra i 15 mila e i 20 mila euro. Né è stata eliminata la cosiddetta “autodichia”, in forza della quale l’Amministrazione della Camera e del Senato ha il potere di risolvere i problemi con i propri dipendenti, pagando i funzionari, i barbieri e gli elettricisti con stipendi scandalosi. Né sono stati eliminati i meccanismi automatici, che legano stipendi e pensioni d’oro degli alti vertici amministrativi dello Stato, dalla Presidenza della Repubblica alla Corte Costituzionale, alla Magistratura.

La novità della legge Richetti e i suoi limiti

Ma la novità della Legge Richetti è l’introduzione della retroattività della legge e del sistema contributivo per i vitalizi dei parlamentari già “pensionati”. Il recupero ammonterebbe a circa 200 milioni di euro. A parte le delicate questioni costituzionali, che sono poste da ogni legge retroattiva, o si estende la retroattività a tutte le pensioni d’oro e si fa un ricalcolo generale su base contributiva per tutte le pensioni erogate con il sistema retributivo (e qui si recuperebbero non milioni, ma miliardi di Euro!) oppure la Legge Richetti, dedicata alla sola “categoria” dei politici eletti, appare ed è una vendetta postuma contro la Casta e contro la Politica. Nello slancio di saltare a cavallo della propaganda grillina, il PD è caduto dall’altra parte, nonostante avesse a disposizione proposte ragionevoli già formulate da Nannicini, Boeri e Patriarca, che avrebbero riportato nelle casse dello Stato non 200 milioni, ma 4 miliardi.

Il PD che rincorre i grillini

A quanto pare, lo scopo del PD non è fare giustizia, ma prendere voti. Ed è qui che l’operazione diventa un boomerang fallimentare. Il PD rischia di subire la tortura dei cavalli, che tirano il malcapitato in direzioni opposte. Infatti: quella parte di elettorato, che vuole un finanziamento ragionevole della rappresentanza, perché continua a ritenerla necessaria per una democrazia liberale, finirà per orientarsi verso il Centro-destra, in particolare quello di Berlusconi. Quella parte che, viceversa, condivide il radicalismo grillino, troverà comunque insufficienti le proposte di Richetti e si orienterà verso il M5S. Resta da chiedersi quale sia la cultura politica sottostante la proposta di legge. È il concentrato dei luoghi comuni del populismo, è il segnale di un disorientamento culturale del gruppo dirigente del PD. Come ebbe a scrivere Seneca in tempi non sospetti: “Ignoranti quem portum petat, nullus suus ventus est”, che, tradotto da R. M. Rilke, suona così: “Nessun vento è favorevole a chi non sa dove andare”. Neppure quello elettorale…

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