CL, dal carisma all’istituzione

Julian Carron, guida di CL

Movimento e istituzione, statu nascenti e istituzione, carisma e istituzione – e, persino, innamoramento e amore, secondo Alberoni – sono coppie di categorie antitetiche, ma coessenziali, che tentano di rendere conto delle scie che i movimenti sociali, culturali, politici, religiosi tracciano, attraversando la storia del mondo. Il carisma inventa un mondo, gli dà forma, lo costituisce. In questo confronto con il mondo, anche il carisma si trasforma, passa in altro. Arriva il tempo dei successori. È un tempo difficile, perché si espongono all’accusa di infedeltà e di tradimento del carisma fondativo. Dinamiche simili accadono in tutti i movimenti.

CL nel tempo della globalizzazione e della società liquida

Anche a CL è toccato, necessariamente. Il libro-intervista di Julian Carron, successore di don Giussani alla guida della Fraternità di Comunione e Liberazione, intitolato “Dov’é Dio? La fede cristiana al tempo della grande incertezza.”, ed. Piemme, costruito sulle domande “impertinenti” di Andrea Tornielli – che molte voci danno per prossimo Direttore dell’Avvenire – racconta la storia di questa transizione dal carisma all’istituzione.

Naturalmente, non bisogna prendere troppo schematicamente le categorie suddette: l’istituzione non è la tomba del carisma e il carisma si incarna sempre in istituzioni.  E, tuttavia, la transizione non è mai indolore. E non è mai decisa a tavolino. Perché è sempre segnata dalla storia degli uomini, dalle loro passioni, dai loro erramenti. In questo libro-intervista, Carron delinea lucidamente la piattaforma culturale della vecchia/nuova CL, che (ri)colloca la Fraternità rispetto alla società e alla Chiesa.

La globalizzazione, la società liquida, l’incertezza sono “la circostanza” per i cristiani di oggi, dentro la quale giocano la loro scommessa: “il mondo non come un abisso di perdizione, ma come un campo di messi”. A condizione di non porsi tertullianamente come la Chiesa giudicante, ma come una compagnia misericordiosa degli uomini. Nel tempo dell’individuo-globalismo, che scavalca frontiere e barriere, “nel tempo dell’indigenza” la misericordia diventa la virtù-chiave. Di questa Chiesa papa Francesco è considerato un originale e consapevole testimone, coerente con i papi degli ultimi cinquant’anni, da papa Giovanni in avanti. La Chiesa può fare tutte le prediche che vuole, elencare molti precetti, insistere sulla legge naturale e sulle evidenze etiche, proporre conversioni, ma nei confronti della libertà umana l’argomento decisivo è la testimonianza attrattiva e la cura misericordiosa dell’altro. “La Chiesa non fa proselitismo, si sviluppa per attrazione”, così dice Francesco, citando papa Benedetto XVI. “Non siamo più nella cristianità. Non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi né i più ascoltati”: così Francesco.

La Chiesa non ha paura della società multiculturale, vi si trova a suo agio, proprio come alle origini della sua storia. Si tratta di una postura liberatoria: non si tratta più di caricarsi sulle spalle l’impresa titanica di raddrizzare le gambe al mondo o di salvarlo dalla catastrofe. Semplicemente, occorre accompagnare la storia degli uomini verso i suoi orizzonti imprevedibili, continuando a “ricostruire città distrutte” come suggerisce il profeta Isaia. Diceva Montini, il papa che ha vissuto drammaticamente la secolarizzazione: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri”. Testimoni attivi di fatti. Qui si cita sant’Agostino: “In manibus nostris sunt codices, in oculis facta!”.

CL,  il tradizionalismo cattolico, l’esperienza

E poiché vi sono esponenti di Comunione e Liberazione – laici, sacerdoti e vescovi – che criticano aspramente o addirittura irridono papa Francesco, Carron prende nettamente le distanze dal tradizionalismo cattolico, cui forse da sempre alcuni di loro avevano aderito sotto l’usbergo di don Giussani. È, in effetti, sul rapporto verità e libertà che si è determinata una rottura culturale nella Chiesa, già a partire dal Concilio Vaticano II e, dopo la morte di don Giussani, in CL. La verità deve necessariamente passare nella strettoia della libertà umana: il punto di intersezione si chiama “esperienza”. Husserl direbbe: Das Erlebnis, l’esperire vivente. Husserl e Heidegger hanno influenzato profondamente l’elaborazione teologica moderna, ben oltre la filosofia/teologia neo-scolastica.

Da Hans Urs von Balthasar fino a Ratzinger, passando per Erich Przywara e Karl Rahner – i fondatori della scuola teologica moderna dei Gesuiti, alla quale appartiene anche Bergoglio –  la categoria di “esperienza” è diventata cruciale per comprendere la perturbazione che la presenza di Cristo provoca nell’universo esistenziale del singolo. Di due categorie di quella filosofia/teologia ha fatto un uso fondativo don Giussani: Das Ereignis (l’Avvenimento) e Das Erlebnis (l’Esperienza come corrispondenza profonda tra ciò che ti viene proposto e ciò che avverti come più autentico e più in asse con il tuo destino). Il rischio di scambiare i pruriti passeggeri dell’Io per “esperienza” è reale, ma nessuna costrizione esterna è in grado di mettere al riparo dal soggettivismo possibile. Solo una comunità ti può fornire l’ambiente migliore per discernere l’esperienza autentica.

Così, lo sguardo del realismo cristiano – che è realismo accompagnato dalla speranza – permette di guardare al mondo senza paura e, di conseguenza, di ricollocare Comunione e Liberazione dentro il pluriverso ecclesiale, senza tentazioni polemiche e integralistiche. Di qui, in prospettiva, una maggior possibile collaborazione con altri movimenti e espressioni più istituzionali – Parrocchie comprese -, anche se Carron sottolinea il carattere strategico delle “comunità di ambiente”, dove non si può sfuggire alle proprie responsabilità pubbliche di credenti e dove è difficile potersi accomodare nei riti e nelle abitudini.

Papa Francesco non è più considerato un’interruzione/deviazione rispetto a Benedetto XVI, ma piuttosto una sua radicalizzazione. Eppure Francesco non era stato tenero con CL nell’udienza pubblica del 7 marzo 2015, quando in Piazza San Pietro aveva chiesto “non chiudere il carisma in bottiglia”, di non pietrificarlo, di “decentrarlo”, di uscire dal compiacimento autoreferenziale, di non muoversi come impresari di una ONG e, citando Don Giussani, di “non opporsi al nuovo come pura antitesi”. Francesco aveva concluso il suo saluto con uno squillante “siate liberi”!

E la dimensione pubblica? E la politica? Non si avvertono qui ulteriori novità rispetto alla Lettera  a Repubblica del 1° maggio 2012, quando Carron fu costretto a prendere le distanze da alcune esperienze politiche riconducibili a CL e a chiedere perdono, in nome dell’eredità tradita di Don Giussani. Ribadita “l’irrevocabile distanza critica”, messi in guardia dall’illusione egemonica neo-pelagiana dei contro-progetti alternativi a quelli prometeici e terrestri, riaffermata la responsabilità dei singoli impegnati in politica, la scelta della Fraternità è quella di muoversi direttamente sui temi che la toccano, quale, per es. la libertà di educazione o la difesa della vita.

Fin qui, dunque, la CL ideale, quella delineata da Julian Carron. Quella reale fa forse più fatica a camminare su quella strada. Se i movimenti sono “avvenimenti di vita”, questa è sempre piena di contraddizioni.