Timothy Radcliffe: «Siamo chiamati a riconoscere il volto di Cristo in ogni migrante»

“Siamo chiamati a riconoscere il volto di Cristo in ogni migrante”: ha parlato di accoglienza Timothy Radcliffe, teologo domenicano, nell’ultimo incontro della decima edizione di Molte Fedi Sotto Lo Stesso Cielo (dal 23 gennaio invece delle consuete conferenze “singole” aperte al pubblico, prenderanno il via gli “Itinerari”, percorsi di approfondimento per piccoli gruppi, ndr) che ha visto come ospite d’eccezione Timothy Radcliffe, teologo domenicano.

Al centro della riflessione di Radcliffe il tema dell’accoglienza, valore intrinseco della Chiesa cattolica e, pertanto, valore imprescindibile del vivere cristiano. L’accoglienza, tema tanto attuale quanto dibattuto, in un’epoca di crescente populismo che alimenta posizioni xenofobe e porta alla costruzione di muri in Europa e non solo, interpella, però, ogni cristiano e lo chiama ad una riflessione sulle origini della propria fede, perché non va dimenticato che “Gesù stesso è un migrante, un bambino rifugiato”, commenta il teologo, costretto alla fuga per salvare la propria vita e che, pertanto, “Noi cristiani siamo chiamati a riconoscere il volto di Cristo in quello di ogni migrante”, continua.

Meravigliosa la capacità del teologo domenicano di dare senso e concretezza a parole sull’accoglienza, intrecciando la sua riflessione con l’episodio raccontato nel capitolo 18 del libro della Genesi, meglio noto come le querce di Mamre, in cui Abramo è il primo a praticare accoglienza.

“Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno”. Uno dei primi incontri di Abramo con il Signore avviene in questo episodio, in cui Dio si fa prossimo ad Abramo attraverso l’altro. Abramo è sulla porta di casa sua, della sua tenda, e per di più nell’ora più calda del giorno. Abramo esce dal suo spazio, non vi si barrica dentro ed è pronto ad incontrare. E, proprio perché egli sede all’esterno, lascia aperta la sua tenda e proprio l’apertura è condizione necessaria perché si possa praticare accoglienza, lasciare aperta all’altro e per l’altro la propria della propria casa, metafora dell’atteggiamento di ogni cristiano.  E questa predisposizione all’ospitalità nei confronti dell’altro affonda radici nella storia della Chiesa, quando era consuetudine costruire case che accogliessero i pellegrini vicino ad ogni chiesa “per accogliere l’umanità migrante di Cristo”.

“Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra”: Abramo non è soltanto esce, capace di incontrare l’altro, ma, soprattutto è capace di vedere l’altro. Esseri cristiani, infatti, non significa essere capace di ospitalità aprendo la porta della propria casa all’altro, ma richiede uno sforzo ancora più grande: essere capaci di vedere l’altro e di riconoscerne la sua condizione di dignità in quanto essere umano. La sfida cui i recenti fenomeni migratori chiamano la comunità cristiana è quella di andare offre un atteggiamento di paternalistica accondiscendenza, ascoltando il desiderio umano di essere, ognuno, riconosciuto in quanto tale, per la sua intrinseca ed imprescindibile dignità. Abramo, però, non è capace solamente di riconoscer l’umanità preziosa dell’ospite, ma addirittura sembra aspettarne con intrepida impazienza l’arrivo, perché “il piacere dell’ospitalità deriva dalla creatività della grazia”.

“Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Il Signore riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio»”. E accogliere non significa soltanto lasciare aperta la porta della propria casa e vedere il volto umano e degno dell’atro, significa anche riconoscere e ringraziare per la benedizione che l’altro, lo straniero porta con sé. Perché sono quei tre ospiti sconosciuti a benedire Abramo e donargli una discendenza come dono per la sua accoglienza e anche oggi “lo straniero può rendere fertile la sterile Europa, può aprire il cuore e la mente ad un nuovo modo di essere umani, può aprire la nostra identità all’umanità intera”.

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