San Carlo Borromeo, grande riformatore della Chiesa. Ma per ricordarlo a Bergamo c’è solo un vicolo

I nomi delle vie sono un utile strumento per la ricostruzione di miti e ideologie che dominano una determinata epoca e ci aiutano a comprenderne i mutamenti. Nella cattolica Bergamo sarebbe stato incredibile fino a qualche anno fa dedicare un importante luogo pubblico a Martin Lutero, l’iniziatore della Riforma Protestante. Ciò si spiega con una più accurata e meno prevenuta ricerca storica, che ha favorito il dialogo ecumenico tra cattolici e protestanti, e con la presenza secolare di una significativa comunità riformata di provenienza svizzera, a cui la nostra provincia deve molto in campo economico e sociale. Nonostante ciò, vi sono state su alcuni giornali lettere molto critiche e variamente motivate sulla decisione del comune di Bergamo: alcuni si rifacevano poco elegantemente all’azione eversiva ed eretica del personaggio; altri sottolineavano l’estraneità del Riformatore alla storia di Bergamo. Quest’ultima osservazione ha una sua validità, perchè, a mio modo di vedere, mette in luce più che un abuso, un vuoto ed una grave dimenticanza nella toponomastica delle vie cittadine.
Come ogni personaggio di dimensione mondiale, Lutero ha avuto un influsso nella nostra terra, nel senso che la sua azione riformatrice ha costretto l’intera Cristianità europea a riformarsi. Anche nella Veneta Repubblica, cui Bergamo politicamente apparteneva, era presente un robusto movimento di riforma, che però assunse aspetti e modalità diverse rispetto al modello luterano. Purtroppo nella storiografia italiana è largamente dominante l’idea che la Chiesa Cattolica si difese dai protestanti solo con l’Inquisizione. Mi si consenta di dire che non c’è nulla di più parziale e mistificatorio. In realtà, nell’Italia del Nord, tra Milano e Venezia, a partire dal Cinquecento, si affermò un vasto movimento riformatore che cambiò profondamente i connotati della Chiesa. Si elaborò un “modello Borromaico di Chiesa”, che ebbe per iniziatore Carlo Borromeo. Esso è il fondamento delle nostre comunità ecclesiali e ne spiega la vitalità per almeno quattro secoli. Le ricadute culturali, artistiche, economiche e sociali furono importantissime. In poche parole: Milano, con la Lombardia, non è stata solo la capitale morale, economica e culturale dell’Italia, come si dice usualmente, ma anche la capitale religiosa. Questo è particolarmente visibile nei secoli XIX e XX. Non è un caso che la Lombardia abbia dato tre papi: Pio XI, Giovanni XXIII e Paolo VI.
Venendo al dunque, se Carlo Borromeo ha avuto un enorme influsso diretto sulla nostra terra in termini non solo religiosi, ma anche morali, culturali e sociali, questo non risulta affatto dalla toponomastica cittadina. A lui è dedicato solamente un piccolo e maleodorante vicolo laterale della via S. Alessandro. Cosa direbbe papa Giovanni, che ebbe per S. Carlo una sconfinata ammirazione, che lo scelse come modello di pastore e che si riconosceva come figlio di una Chiesa, il cui volto doveva non poco all’ azione riformatrice dell’arcivescovo milanese? Fin da giovane Roncalli ne studiò appassionatamente la riforma attuata nella nostra diocesi, ispirata alle indicazioni del concilio di Trento. Il riferimento carolino è una delle spiegazioni più valide della sua scelta di convocare il Vaticano II per la riforma del cattolicesimo nel XX secolo.