Il “bel pastore”, pastore di tutti

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore (vedi Vangelo di Giovanni 10, 11-18).

Il pastore è un mestiere molto diffuso nella società di Gesù. Le pecore sono ricchezza, come lo sono la terra e i suoi frutti. Per gustare la bellezza e l’efficacia delle immagini usate da Gesù bisogna collocarle nell’ambiente sociale ed economico del tempo. Gesù parla di qualcosa che tutti conoscono e quindi tutti sanno apprezzare quello che egli racconta e quello che vuol dire attraverso quel racconto. Tutti sanno, infatti, la differenza fra mercenario e pastore. Il mercenario è soltanto pagato per custodire l’ovile. Del mercenario Gesù definisce le caratteristiche negative, specularmente opposte a quelle del pastore vero. Arriva il lupo e il mercenario scappa. Il pastore invece no perché quelle sono le sue pecore.

Il pastore conosce le sue pecore

Gesù usa l’immagine familiare del pastore per dire chi è lui e quali sono i rapporti che lo legano ai suoi discepoli. Gesù è il “buon pastore”, tradotto alla lettera è il “bel pastore”, cioè il pastore ideale. Si prende cura delle sue pecore, ha rapporto personale, unico, con loro: “conosce” le sue pecore e le sue pecore conoscono lui. Tanta è la sua cura per le sue pecore che arriva a dare la vita per loro. Tutti diventano sue pecore dunque, guidati da un solo pastore, tutti saranno uniti, diventeranno un solo gregge. Dunque non si è uniti perché si nasce in Israele e se ne fa parte, ma perché si accetta di essere guidati dall’unico pastore: Gesù. Ciò che Gesù fa, lo fa per obbedire al Padre, per una esigenza amorosa verso di lui. Questo amore lo porta a dare tutto e, dando tutto, fino al limite, dà ai suoi amici una vita senza limiti.

Dono del pastore, non privilegio delle pecore

“Ho altre pecore”. L’appartenenza al “gregge” del Signore non è un privilegio delle pecore, ma un dono del pastore. Se è così, le pecorelle del “bel pastore” sono buone pecore se godono nel vedere allargarsi il gregge a tutti, se godono nel vedere il dono che hanno ricevuto loro condiviso anche con altre pecore.

Il discepolo del Signore è “estroverso”, come lo è il suo Signore. Non uso il Signore per difendermi, ma mi metto al servizio del Signore perché altri possano incontrarlo.