Il difficile “per sempre”. Per i preti e non solo per loro

Il 26 Maggio scorso la Chiesa di Bergamo ha ricevuto dal Signore il dono di tre nuovi sacerdoti. Due di loro li ho conosciuti abbastanza bene, in quanto sono stati a Grumello per due estati e durante tutti i sabati e le domeniche del secondo anno di Teologia, per vivere l’esperienza pastorale in parrocchia da seminaristi, sotto la guida di don Fabio, allora curato a Grumello, quando io ero curato solo a Telgate ma vivevo già a Grumello con gli altri sacerdoti.

“Tu sei sacerdote in eterno”

È sempre un momento splendido quello delle ordinazioni sacerdotali. Ricordo bene tutte le ordinazioni alle quali ho partecipato da seminarista, oltre che, ovviamente, l’ordinazione mia e dei miei dodici compagni, il 22 Maggio 2010.

Una preghiera che porto nel cuore e riascolto spesso, che viene cantata durante il solenne rito, è “Tu sei sacerdote in eterno”. La bellezza delle parole, la melodia frutto della sapienza ispirata di Mons. Corbetta, mi tocca sempre nel profondo, perché mi ridice il vero senso di una decisione presa liberamente e quotidianamente rinnovata, seppur tra tutte le mie infedeltà e fragilità. Con questa necessaria premessa, giungo alla riflessione che intendo proporre.

“Nulla è per sempre”

Qualche giorno fa ho ricevuto un messaggio in un gruppo whatsapp. Cosa normalissima: del resto, con due oratori ne arrivano di messaggi ogni giorno! Ma questo mi ha colpito in particolare. Non per il contenuto, ma perché, non essendo salvato nella mia rubrica il nome di chi scriveva,  mi è apparsa, accanto al numero di telefono, la frase che descrive il profilo whatsapp del proprietario. Ebbene, la frase recitava così, in modo lapidario: “nulla è per sempre”.

Questo mi ha dato da pensare, molto. Per me, per i confratelli sacerdoti, per i novelli don Gabriele, don Luca e don Manuel è risuonata la frase “tu es sacerdos in aeternum”; eppure, ho la percezione che venga avanti prepotentemente un nuovo “dogma”, che consiste proprio nell’affermare che nulla è eterno. Ora, è chiaro che generalizzare è sempre sbagliato e personalmente ritengo non sia corretto dare risposte semplici a problemi complessi. Quando mi capita, spesso per la verità, di provare a rispondere alla domanda sul perché calino le vocazioni e i seminari si svuotino, cerco di prendere il tempo necessario per rispondere con serietà, mostrando che non esiste “la causa”, ma una serie di contingenze che, combinandosi insieme, conducono al generarsi di questa situazione.

La crisi delle vocazioni sacerdotali e la crisi del matrimonio

Tuttavia, va certamente riconosciuto che la crisi del “per sempre”, la convinzione che non esista il definitivo, è una delle questioni che incidono pesantemente su scelte di vita fondamentali quali la scelta della vocazione al sacerdozio o il matrimonio cristiano. Con questo, ci tengo a dirlo apertamente, non intendo in alcun modo offendere, mancare di rispetto o giudicare chi ha incontrato difficoltà nel suo percorso di vita e non ha potuto rimanere fedele a una scelta fatta seriamente e consapevolmente; intendo solo affermare tutta la problematicità dell’affermazione “nulla è per sempre”.

Per quel poco che io posso capire, se nulla è per sempre, allora tutto rischia di essere “finchè mi va, finchè me la sento”. Questo, dal mio punto di vista, è deleterio. È chiaro che la dimensione emotiva è importante nella vita di ciascuno, ma è altrettanto vero che non si può vivere di sole emozioni. Inoltre, una scelta di vita importante non può essere fatta sull’onda emotiva del momento, perché l’emozione tanto velocemente si accende ma, spesso, altrettanto rapidamente si affievolisce. Da parte mia cerco sempre di insegnare ai miei ragazzi che si può puntare in alto, che le scelte definitive esistono e sono possibili. Certo, perché questo avvenga non si può scegliere con l’idea di partenza che, mal che vada, c’è un’uscita laterale, una via di fuga facile: occorre una dedizione completa a ciò che si sceglie per la vita, con tutte le fatiche e le sofferenze che talvolta la fedeltà comporta.

Questo è necessario, perché, in fondo, ciò fa parte dell’essere veramente uomini.

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