Giovani e giustizia: Ivo Lizzola e don Fausto Resmini Sulla Soglia con la Fuci

L’ultimo incontro del ciclo “Sulla Soglia” avrà come tema: “Giovani e giustizia”, relatori saranno il Prof. Ivo Lizzola, professore ordinario di pedagogia della nostra Università e Don Fausto Resmini, cappellano del carcere di Bergamo.

Seguendo sarcasticamente i dati dei sondaggi, potremmo dire che questo tema verrà discusso l’ultimo incontro perché, come sempre, in Italia la giustizia arriva con la sua peculiare lentezza, infatti per ricevere una sentenza di primo grado nel “bel paese” sono necessari circa 600 giorni in media.

Le ragioni di questo sono attribuibili ad un organico non sufficientemente ampio, con un rapporto di 10 giudici per 100.000 abitanti e ad uno scarso investimento economico, circa 96 euro per cittadino, ma di cui il 63% viene utilizzato per la retribuzione dei funzionari.

Relegare la giustizia alle aule di tribunale e considerarla solamente qualcosa che riguarda giudici, avvocati e complicati manuali di diritto è riduttivo.

Varrebbe la pena riflettere sul concetto di giustizia, cosa significhi veramente per ciascuno di noi, quali siano le reali aspettative nei confronti della magistratura, ma soprattutto chiedersi quanto si conosce e condivide dell’art. 27 della nostra Costituzione.

L’articolo 27 stabilisce tre cose importanti e troppo spesso ignorate, la prima è la presunzione di innocenza dell’imputato fino ad una condanna definitiva.

Questo significa che nessuno può essere considerato colpevole fino a quando un tribunale non emetta una sentenza che lo dichiari tale, ciò purtroppo, soprattutto attraverso i social è un diritto costantemente violato, perché nelle piazze virtuali, protetti da uno schermo è facile ergersi giudici e periti con la stessa facilità con la quale si commenterebbero le foto delle vacanze al mare.

La seconda riguarda le pene, che per quanto severe non devono mai violare i diritti umani, quindi per dispiacere di molti, la tortura non sarà mai applicabile, ma è ovvio che le pene devono essere sufficientemente severe da non permettere la reiterazione del reato.

L’ultima, forse la più importante, la rieducazione del condannato, perché pagare per i propri sbagli è giusto, ma trovo che lo sia ancor di più avere la possibilità di comprendere il proprio errore, e avere la possibilità di tornare nel proprio mondo con una nuova consapevolezza.

La vera giustizia a mio parere risiede in questo principio, non ha il compito di tappare una falla o eliminare ciò che è ritenuto sbagliato, ma essere motore di cambiamento.