“Mio zio, Paolo VI”. Il ritratto della nipote Chiara Montini: “In India regalò la sua auto a Madre Teresa”

Nel volume “Mio zio, Paolo VI” (Editrice Morcelliana 2019, Collana “Montiniana”, pp. 75, 10,00 euro), l’autrice Chiara Montini compie un ritratto inedito e privato (corredato da un suggestivo apparato fotografico) dello zio paterno Giovanni Battista Montini (Concesio, 26 settembre 1897 – Castel Gandolfo, 6 agosto 1978), Arcivescovo di Milano dal  novembre 1954, salito al soglio di Pietro il 21 giugno 1963 con il nome di Paolo VI, beatificato il 19 ottobre 2014 e proclamato santo il 14 ottobre 2018 da Papa Francesco.

Nelle pagine del libro scorre la vita semplice e straordinaria di Montini dall’”agile e sottile figura” che si specchia nella vita della nipote Chiara. Ecco l’infanzia di Chiara Montini, figlia di Francesco, di professione medico, fratello minore di Giovanni Battista Montini, i fratelli, gli amici di famiglia, le vacanze e le gite familiari, i giochi e le storie narrate alle nipotine Chiara ed Elisabetta. Ancora la gioia della fede, la confidenza e la guida spirituale sempre discreta ma premurosa di “Zio Battista”, l’ultima visita a Bovezzo, in provincia di Brescia, prima del Conclave che elegge Pontefice il Cardinale Montini, gli incontri successivi a Roma. Ricordi, parole, insegnamenti, i momenti familiari prima di raggiungere il soglio pontificio e gli anni successivi, anche i più difficili, momenti fondamentali, storici e che cambieranno il volto della Chiesa.

“Garantì con sollecitudine instancabile il suo desiderio nel guidare l’uomo moderno a riconoscere la verità, in un continuo sforzo intellettuale, di ascolto, di comprensione, di dialogo. Egli verrà sempre ricordato come il Papa del dialogo: voleva dialogare con il mondo intero”, scrive l’autrice nelle pagine finali del volume riferendosi a suo zio, Paolo VI.

Abbiamo intervistato Chiara Montini laureata in Pedagogia all’Università Cattolica, che ha svolto attività di archivista presso La Scuola Editrice, la quale lavora presso l’Archivio storico diocesano di Brescia, e collabora con l’Istituto Paolo VI.

Signora Montini, desidera descrivere la fotografia in bianco e nero posta come copertina del libro che la ritrae insieme a Suo zio?  

«Era l’agosto del 1961 e ci trovavamo sul Monte Pilatus in Svizzera. Mi trovavo in vacanza in Svizzera con i miei genitori, con mia sorella maggiore di un anno di me e con lo zio, allora Arcivescovo di Milano. Queste vacanze in terra svizzera si ripetevano tutti gli anni, lo zio si liberava dai suoi impegni e tutti noi ci univamo a lui per trascorrere insieme questi giorni che ricordo con grande dolcezza e tenerezza. Quando ci penso, ancora adesso trovo in me stessa tanta serenità. Sia mio padre, sia mio zio erano sempre molto occupati, entrambi erano con noi affettuosissimi durante questo periodo di vacanza».

 

“Per lui noi eravamo le “nipotine”, le “bambine”. Lui per noi semplicemente e affettuosamente lo Zio Battista”. Cambiò qualcosa quando il Cardinale Montini diventò il 262º Vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica?

«Assolutamente sì, la nostra vita si stravolse nel senso che le frequentazioni familiari non ci furono più. Lo zio non venne più a Brescia, non ci furono più giornate trascorse insieme a casa nostra. Il ruolo che lo zio ebbe per tutta l’umanità lo allontanò dalla nostra famiglia. Mi resi conto che non poteva avere più per noi quella disponibilità che aveva una volta. Gli impegni che doveva seguire erano ben gravosi, quindi cambiò tutto, anche dovuto al fatto che la mia famiglia è sempre stata una famiglia che preferiva stare qualche passo indietro piuttosto che avanti. La riservatezza era al primo posto. Andavamo a trovare lo zio in Vaticano in occasione delle feste mariane. Ricordo gli incontri a Castelgandolfo, la Villa Pontificia  residenza estiva dei Papi. Finché eravamo ragazzine la cosa era molto divertente per me e per Elisabetta, perché scorrazzavamo liberamente per i giardini vaticani senza preoccuparci di determinate modalità da tenere. Crescendo il ricordo si affina nel senso che rammento la grande emozione nel vedere lo zio mentre celebrava la Messa nella sua cappella privata, lo ricordo così vicino a delle vette che nessuno di noi poteva mai giungere. Però nello stesso tempo, e questo voglio sottolinearlo, lo zio era una persona veramente sensibile, sempre attento a chi incontrava, sempre vicino al singolo, indipendentemente dal ruolo che la persona ricopriva. Con noi nipoti ha sempre dimostrato un enorme affetto, quando nostro padre morì improvvisamente nel 1971 a causa di un infarto, io avevo 16 anni ed Elisabetta 17, frequentavamo il liceo. Lo zio si interessò ai nostri studi, alle nostre amicizie e alle nostre rispettive aspirazioni di professioni future. Anche il rapporto con nostra madre, sua cognata, è sempre stato di grandissima stima e rispetto».

Nelle prime pagine del testo scrive che “non era facile portare il cognome Montini”. Per quale motivo?  

«Dobbiamo pensare che l’epoca era vicina al ‘68, l’anno della contestazione, dove tutti i valori erano ribaltati e messi in discussione. Chiamarsi Montini in quegli anni fu molto difficile, gravoso. Parlo per me, non so come mia sorella visse quel periodo… tante volte ho sofferto per certe “frecciate” tirate da amici e da compagni di scuola. Allora non ero neanche in grado di sapermi difendere. Se stavo in un ambiente pubblico non sapevo se sarei stata bene accetta oppure no, cioè se sarei stata criticata per l’operato dello zio proprio perché mi chiamavo Montini. Quando frequentai l’Università, tutte le volte che presentavo il Libretto universitario, vedevano il mio nome e subito mi chiedevano se ero parente di Paolo VI. Il problema non era ammettere questo legame famigliare che per me era ed è sempre stato importantissimo, ma volevo evitare qualsiasi incomprensione, il mio voto all’esame non doveva dipendere dal mio cognome, dalla mia parentela particolare ma dalla mia preparazione».

Dal volume emerge la santità quotidiana di Paolo VI. La canonizzazione di Montini avvenuta  nell’ottobre del 2018 ha dimostrato come Bergoglio si ispiri a Paolo VI, profeta di una Chiesa che si prende cura dei poveri. Che cosa ne pensa?  

«Ogni volta mi stupisco del fatto di quanto Papa Francesco ripercorra gli insegnamenti di Paolo VI che certamente allora fu un pontefice poco compreso. Ora i tempi sono diventati maturi e gli insegnamenti di Montini vengono accolti da Bergoglio e calati, diciamo, nella modernità dei tempi che stiamo vivendo. Per quanto riguarda la povertà, ricordo quando nel dicembre del 1964 lo zio compì un viaggio apostolico in India. Durante la visita a Bombay annunciò di voler regalare la sua automobile a Madre Teresa di Calcutta, perché la usasse a beneficio dei poveri. Montini modificò certi atteggiamenti della Chiesa, cercando di  volerla povera, perché la povertà la rende libera, senza orpelli e catene. Questa frase dello zio che considero bellissima fu uno dei cardini del suo Pontificato».

Il 20 luglio del 1969 l’uomo conquistò la Luna. Le telecamere Rai e i microfoni della Radio Vaticana fermarono nel tempo l’emozione di Paolo VI davanti al piccolo schermo. Ricorda se il pontefice parlò alla Sua famiglia di quei momenti storici di cinquant’anni fa vissuti davanti alla televisione?  

«Sì, ricordo benissimo l’emozione dello zio che trasmise anche a noi, rammento la telefonata che fece a mio padre Francesco. In seguito nell’ottobre del ‘69 Montini ricevette in udienza i tre astronauti statunitensi congratulandosi con loro “per il coraggio di superare il timore dell’incognito”. Lo zio era veramente entusiasta di questo evento epocale, di questa impresa nuova, straordinaria che l’uomo era riuscito a compiere. Grande era l’interesse e la curiosità di Montini, il quale era emozionato e stupito dal fatto che l’uomo si potesse muovere in quell’universo creato da Dio Padre. Una visione, questa, legata alla grande spiritualità di mio zio, Paolo VI».