Rapporto Censis: l’incertezza genera ansia e tendenze anti-democratiche

«L’incertezza diffusa genera ansia. Ci siamo arrivati grazie a uno stravolgimento epocale, il 74% degli italiani si è sentito stressato nel corso dell’anno. Infatti, nel nostro Paese il consumo di ansiolitici è aumentato nel corso degli ultimi anni del 23%». 

Dunque la società italiana è ansiosa ed è macerata dalla sfiducia: è questa l’Italia fotografata dal Censis (Centro studi investimenti sociali) nel suo 53° rapporto annuale, presentato questa mattina a Roma nella sede del Cnel da Massimiliano Valerii, Direttore Generale Censis. Un quadro non positivo, anzi. «Cosa accadrà domani? – si domanda Valerii in questo quadro fosco, – Ecco perché registriamo preoccupanti pulsioni antidemocratiche, ora il 48% degli italiani è favorevole all’uomo forte al potere, in un Paese dove il 69,8% è convinto che nell’ultimo anno siano aumentati gli episodi di intolleranza e razzismo verso gli immigrati, mentre per il 58% degli intervistati è aumentato anche l’antisemitismo». 

Il 69% degli italiani guarda al futuro con incertezza

Sfuggiti a fatica al gorgo della crisi, adesso l’incertezza è lo stato d’animo con cui il 69% degli italiani guarda al futuro, mentre il 17% è pessimista e solo il 14% si dice ottimista. Ma come abbiamo fatto a ridurci in questo stato? Gli italiani avevano dovuto prima metabolizzare la rarefazione della rete di protezione di un sistema di welfare pubblico in crisi di sostenibilità finanziaria, destinando risorse crescenti a strumenti privati di autotutela e introiettando l’ansia del dover fare da soli rispetto a bisogni non più coperti come in passato. Poi i nostri connazionali avevano dovuto fare i conti con la rottura dell’ascensore sociale, assumendo su di sé anche l’ansia provocata dal rischio di un possibile declassamento sociale. Anche perché la nuova occupazione creata negli ultimi anni è stata segnata da un andamento negativo di retribuzioni e redditi. Oggi il 69% degli italiani è convinto che la mobilità sociale è bloccata. Il 63% degli operai crede che in futuro resterà fermo nella condizione socio-economica attuale, perché è difficile salire nella scala sociale. Il 64% degli imprenditori e dei liberi professionisti teme invece la scivolata verso il basso. Infine, gli italiani hanno dovuto rinunciare perfino ai due pilastri storici della sicurezza familiare, il mattone, la casa e i Bot, di fronte a un mercato immobiliare senza più le garanzie di rivalutazione di una volta e a titoli di Stato dai rendimenti infinitesimali. E pensare che il mattone e Bot erano inscritti nel codice genetico degli italiani, strumenti che rispondevano materialmente alla domanda sociale di futuro, il veicolo per salire verso livelli più alti di benessere. 

La casa? Un costo più che un investimento

Ma oggi è cambiata la percezione sociale della proprietà immobiliare, considerata un costo più che un investimento. Ecco perché dal 2011 la ricchezza immobiliare delle famiglie ha subito una decurtazione del 12,6% in termini reali. E il 61% degli italiani non comprerebbe più i Bot, visto che rendono pochissimo. Come costruirsi il futuro, se per il 74% nei prossimi anni l’economia continuerà a oscillare tra mini-crescita e stagnazione, e il 26% è sicuro che è in arrivo una nuova recessione? 

Contando di fatto solo sulle proprie forze, gli italiani hanno quindi messo in campo stratagemmi individuali per difendersi dalla scomparsa del futuro, in una solitaria difesa di se stessi, in assenza di grandi strategie da generali d’armata, di certo non avvistati all’orizzonte in questi anni. Gli italiani hanno cercato di porre una diga per arrestare la frana verso il basso. La loro reazione vitale ha generato una formidabile resilienza opportunistica, con l’attivazione di processi di difesa spontanei degli interessi personali: nuova sobrietà e pochi consumi, il cash accumulato in chiave difensiva, anche il “nero” di sopravvivenza. Non si è fermata la corsa alla liquidità: +33,6% di contante e depositi bancari nel decennio 2008-2018 (contro il – 0,4% delle attività finanziarie complessive delle famiglie), ciò è il segno di un legame profondo con il contante che rinvia alle sue valenze psicologiche, oltre che funzionali. 

Nuove strategie di sopravvivenza, ma il “furore” resta

Dopo «l’Italia del rancore», emersa dal Rapporto Censis 2017 e dopo che il Rapporto dello scorso anno aveva rivelato che gli italiani si erano scoperti incattiviti e spaventati, preda di un sovranismo psichico, quest’anno il Rapporto 2019, che offre il profilo del Paese dal punto di vista socio-economico, rivela che gli italiani sono dominati dall’incertezza, sentimento pervasivo e dominante, che si è insinuato nelle pieghe della società. 

Nell’eccezionale cambiamento epocale, condensato in pochissimi anni, il furore di vivere degli italiani che li ha riportati tenacemente ai loro stratagemmi individuali, ha scatenato una reazione vitalistica che ha messo in campo uno modello di sopravvivenza che si è rivelato efficace. Finché l’ansia è riuscita a trasformarsi in furore, e il furore di vivere non è scomparso dai volti degli italiani, non c’è stato alcun crollo. 

Ma adesso c’è un prezzo da pagare. Lo stress esistenziale, logorante perché riguarda il rapporto di ciascuno con il proprio futuro, si manifesta con sintomi evidenti in una sorta di sindrome da stress post-traumatico. Nel corso dell’anno il 74% degli italiani si è sentito molto stressato per questioni familiari, per il lavoro o senza un motivo preciso. Al 55% è capitato talvolta di parlare da solo (in auto, in casa). E secondo il 69% l’Italia è ormai un Paese in stato d’ansia (il dato sale al 76% tra chi appartiene al ceto popolare). Del resto, nel giro di tre anni (2015-2018) il consumo di ansiolitici e sedativi (misurato in dosi giornaliere per 1.000 abitanti) è aumentato del 23% e gli utilizzatori sono ormai 4,4 milioni (800.000 di più di tre anni fa). Disillusione, stress esistenziale e ansia originano un virus che si annida nelle pieghe della società: la sfiducia. 

Aumenta il clima di sfiducia: il 75% non si fida più degli altri

Il 75% degli italiani non si fida più degli altri, il 49% ha subito nel corso dell’anno una prepotenza in un luogo pubblico per esempio (insulti, spintoni), il 44% si sente insicuro nelle vie che frequenta abitualmente, il 26% ha litigato con qualcuno per strada. L’altro prezzo da pagare sono le crescenti pulsioni antidemocratiche. Oggi solo il 19% degli italiani parla di politica quando si incontra. Il 76% non ha fiducia nei partiti (e la percentuale sale all’81% tra gli operai e all’89% tra i disoccupati). Il 58% degli operai e il 55% dei disoccupati sono scontenti di come funziona la democrazia in Italia. Sono i segnali dello smottamento del consenso, che coinvolge soprattutto la parte bassa della scala sociale e che apre la strada a tensioni che si pensavano riposte per sempre nella soffitta della storia, come l’attesa messianica dell’uomo forte che tutto risolve. 

Il 48% degli italiani oggi dichiara che ci vorrebbe un “uomo forte al potere” che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni (e il dato sale al 56% tra le persone con redditi bassi, al 62% tra i soggetti meno istruiti, al 67% tra gli operai). Inoltre emerge dall’ultimo Rapporto Censis che il 62% degli italiani è convinto che non si debba uscire dall’Unione europea, ma il 25%, uno su quattro, è invece favorevole all’Italexit. Il 61% dice no al ritorno della lira, il 24% è favorevole e se il 49% si dice contrario alla riattivazione delle dogane alle frontiere interne della Ue, considerate un ostacolo alla libera circolazione di merci e persone, il 32% sarebbe invece per rimetterle. 

In questa Italia preda dell’incertezza, dove paradossalmente si registrano più occupati, ma meno lavoro, è il bluff dell’occupazione che non produce reddito e crescita, prosegue lo tsunami demografico e il grande esodo dal Sud. Adesso l’Italia che attrae e che cresce anche in termini demografici, è fatta di un numero limitato di aree. 

Su 107 province, solo 21 non hanno perso popolazione

Su 107 province, 21 non hanno perso popolazione: 6 sono in Lombardia, 9 nel Nord-Est. In quattro anni Bologna ha guadagnato 10.000 residenti, l’area milanese (3,2 milioni di abitanti) ha aumentato la sua popolazione dell’equivalente di una città come Siena (53.000 abitanti in più), cui si aggiungono i quasi 10.000 residenti in più della contigua provincia di Monza. È questa la maggiore resilienza di alcune aree del Paese, che non condividono i numeri del declino, e anzi vantano «un tasso di crescita del prodotto interno lordo e dei consumi paragonabili alle migliori Regioni europee», in particolare il nuovo triangolo industriale tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, la fascia dorsale lungo l’Adriatico. 

Non stupisce che per il Censis oltre la metà (il 50,9%) della popolazione italiana «in cerca di nuove strategie per sopravvivere» controlla il telefono come primo gesto al mattino o l’ultima attività della sera prima di andare a dormire. Smartphone sempre più oggetto di culto e icona della disintermediazione digitale. La percentuale degli utenti in Italia è passata dal 15% nel 2009 all’attuale 73,8%. Sono stati i giovani under 30 i pionieri del consumo, passati da un’utenza pari al 26,5% nel 2009 all’86,3% dell’ultimo anno. A partire dal 2016 si registra una impennata anche tra i giovani adulti (30-44 anni), fino ad attestarsi oggi al 90,3%. La diffusione su larga scala di una tecnologia personale così potente ha contribuito a una piccola mutazione antropologica che ha finito per plasmare i nostri desideri e le nostre abitudini. Il 25,8% dei possessori dichiara di non uscire di casa senza il caricabatteria al seguito. Il 2018 sarà ricordato come l’anno in cui gli smartphone hanno superato i televisori. Oggi nelle case degli italiani ci sono 43,6 milioni di smartphone e 42,3 milioni di televisori. Ma soprattutto sono 6,5 milioni le smart tv e i dispositivi esterni effettivamente collegati a Internet per guardare programmi televisivi (+20,6% in un anno). 

Il 47,8% delle famiglie in cui vive almeno un minore ha in casa una smart tv o dispositivi esterni che consentono di collegarsi al web. Ma crescono anche le famiglie di longevi over 65 anni che sfruttano gli schermi al pieno delle loro potenzialità collegandosi a internet: l’8% dispone di una smart tv connessa. 

Nonostante l’incertezza, gli italiani non smettono di sperare che domani potrà andare meglio di oggi, anche impegnando la mente cercando il bello: nel 2018 la spesa delle famiglie per attività ricreative e culturali è stata pari a 71,5 miliardi di euro. Mentre gli italiani che prestano attività gratuite in associazioni di volontariato sono aumentati del 19,7% negli ultimi dieci anni, del 31,1% quelli che hanno visitato monumenti o siti archeologici, del 14% quelli che hanno visitato un museo. E sono 20,7 milioni le persone che praticano attività sportive.