Coronavirus, l’Arsenale della Speranza a San Paolo del Brasile: accanto agli ultimi con Bergamo nel cuore

San Paolo, Brasile, emergenza covid-19. Mille uomini di strada sono accolti giorno e notte all’Arsenale della Speranza, anche oggi casa per chi un casa non ce l’ha. Nato nel 1996 sulla vecchia “Hospedaria dos Imigrantes”, l’Arsenale di San Paolo è la seconda casa del Sermig, il Servizio missionario giovani fondato a Torino nel 1964 da Ernesto Olivero e da un pugno di giovani.

Solitamente, ogni notte all’Arsenale sono accolte 1200 persone di strada. Quando l’emergenza covid-19 è arrivata in Brasile  «la prima cosa che abbiamo pensato è stata chiudere le nostre porte» racconta Simone, missionario della Fraternità del Sermig, in Brasile insieme a Gianfranco, Lorenzo, Marco e Ivan. «Ma non potevamo abbandonare i nostri ospiti: fuori, tutto è fermo e per loro non c’è possibilità di sussistenza. Ci siamo confrontati con la Fraternità in Italia e abbiamo deciso di tenerli con noi. E questa volta ventiquattr’ore su ventiquattro». Una scelta difficile e di totale affidamento: «La logica umana ci indicava una strada. Ma la fede non segue logiche sempre umane». La scelta è stata autonoma, nessuna direttiva governativa è arrivata per le case di accoglienza: «Siamo come un popolo nel deserto».

L’Arsenale della Speranza offre solitamente ai propri ospiti diverse opportunità: corsi di alfabetizzazione, formazione al lavoro, arte, gruppi di auto-aiuto per alcolisti e tossicodipendenti, una biblioteca, attività sportive, un bazar. Speranza concreta che permette a tanti di costruirsi una vita nuova. Oggi, le attività degli ospiti sono diverse dal solito: «Abbiamo diverse sale cinema e spazi comuni dove gli ospiti possono giocare a giochi di società e riempire il proprio tempo. Abbiamo preso severe misure di sicurezza: mascherine, distanze, gel per le mani».

«Mai avrei pensato di vedere San Paolo fermarsi. Ma è successo». Le direttive dello stato sono applicabili solo per la fascia più ricca della popolazione: per i milioni di abitanti che vivono nelle favelas o per strada seguire queste stesse direttive è praticamente impossibile: «Si dice che siamo tutti sulla stessa barca. Qui però tanti muoiono nella stiva». Anche a San Paolo sono arrivate le dolorose immagini della città di Bergamo: «C’è stata tanta commozione. I legami personali con l’Italia qui sono forti, molti hanno cognomi italiani. Gli ospiti ci chiedono spesso come stanno i nostri parenti e amici a casa».

L’Arsenale si trova oggi una sproporzione: i costi della casa sono raddoppiati e gli aiuti sono nettamente diminuiti. Le risorse utilizzate sono notevoli. Ad esempio, al giorno si consuma mezza tonnellata di cibo. «Molti brasiliani che solitamente ci aiutano si sono chiusi a riccio: il mondo fuori è scomparso. Stiamo cercando di coinvolgerli nuovamente a distanza». #Andràtuttobene? «In questo tempo ci rendiamo conto della grande differenza tra le parole ottimistiche, quelle del “dai, ce la faremo”, e le parole e i gesti di salvezza: carità vera e volontà di stare realmente accanto a chi soffre».

In piena emergenza covid-19, all’Arsenale di San Paolo la speranza resiste. Lo fa con volti e mani a servizio degli ultimi.