La politica da governo del paese a dinamica dei partiti
Poiché nell’assetto previsto dalla nostra Costituzione formale e praticato da quella materiale i movimenti del governo sono causati da quelli dei partiti, nessuna meraviglia che siamo tutti costretti ad auscultare quotidianamente le convulsioni peristaltiche di questi ultimi. La politica, in questa condizione, si è ridotta, da sempre, da governo del Paese a dinamica dei partiti, che è caratterizzata da una fibrillazione agonica permanente. Opinione pubblica, mass-media, dirigenti e funzionari di partito, ministri e viceministri e cittadini non riescono a pensarla e viverla in modo diverso.
Ogni ministro o vice-ministro che intervenga in TV a vantare l’importanza di un provvedimento, non manca quasi mai di sottolineare che è al suo partito che si deve gratitudine. Lamentarsi che la funzione di governo sia sempre contestata e traballante è persino patetico, visto che essa è strutturalmente mediata dalla funzione-partito. Se l’esercizio della funzione di governo del Paese e i pensieri, teorie, previsioni relativi agli scenari di governo sono opachi, nervosi e imprevedibili, ciò si deve al fatto che non il governo, ma il partito è protagonista della politica.
I partiti. I M5S e il PD
Donde l’importanza di un’attenta ricognizione fenomenologica della condizione dei partiti in questo inizio d’estate 2020 per tentare di prevedere i minacciosi scenari d’autunno.
Il M5S è entrato nella curva del declino. In realtà il populismo assistenziale non è affatto in declino, essendo una costante della società italiana. E’ stato sempre rappresentato, coperto e nobilitato all’interno dei grandi partiti di massa, fin dall’inizio della Repubblica. Il M5S vi ha aggiunto varie superfetazioni ideologiche: la voglia di giustizia/vendetta, nella quale il risentimento sociale si colora di universalismo giuridico; la democrazia diretta dell’incompetenza e dell’ignoranza crassa; il millenarismo plebeo. Tutto ciò sullo sfondo della crisi 2008-2011 e del fallimento di governo del vecchio sistema dei partiti, ha gonfiato Il M5S. In meno di due legislature questo instabile composto chimico si è disfatto nei suoi elementi, che non sono scomparsi, sono migrati altrove. Il precipitato solido, il nocciolo duro resta la domanda assistenzialista, la cui rappresentanza il M5S pare riesca a mantenere attorno al 15% dei sondaggi. L’imperizia nel governare di tutti i suoi ministri ha spinto verso la Lega e verso Fratelli d’Italia una parte dei consensi.
Il PD è, a sua volta, diventato un mix, ancora formalmente collocato a sinistra, ma le opzioni di questa sinistra sono ormai condivise da altri pezzi dello schieramento politico. Assistenzialismo e giustizialismo e demagogia populista sono il fondamento condiviso dell’alleanza non occasionale con il M5S. Dalla politica dell’istruzione in tempo di Covid-19 e all’ultimissima presa di posizione sulle decisioni della Commissione tecnica del Senato circa i vitalizi pregressi, Pd e M5S sono sostanzialmente indistinguibili. La descrizione della composizione interna delle correnti PD richiederebbe, per completezza, la segnalazione di una sinistra riformista di governo. Ma dopo la sfortunata e fallimentare fuoriuscita di Renzi, questa sinistra si è collocata in una sorta di nicodemismo di governo, che tenta timidamente di praticare un riformismo notturno e intermittente. La sua parola d’ordine è il “larvatus prodeo” di Cartesio: “procedo mascherato”, al punto che “Base riformista” è diventata silenziosa e irriconoscibile. Ha ormai cessato di essere il punto di riferimento del riformismo i sinistra che continua ostinatamente a serpeggiare nella società civile.
Chi si attendeva dal PD una preoccupazione fondamentale per lo sviluppo delle forze produttive – come autorizzerebbero a far pensare le sue origini dal Movimento operaio e dal marxismo storico – si deve oggi rassegnare. Il PD non solo si è grillizzato, ma si è anche doroteizzato, alla democristiana. Non ha più un asse culturale identificabile. Non ama il governo, ama appassionatamente il potere. Governare vuol dire fare scelte e perciò rischiare; praticare la microfisica del potere è più comodo e più redditizio dal punto di vista del consenso necessario per la rielezione.
L’opposizione plurale e confusa
Quanto all’opposizione al governo si presenta plurale e confusa. La Lega di Salvini ha mischiato populismo assistenziale, antistatalismo fiscale, autonomie anarchiche, raccolti sotto un nazionalismo antieuropeo che il Covid-19 ha messo in un angolo. Le resta una risorsa non facilmente scalfibile: il rancore d’autunno, che sta accumulandosi sotto i vapori dell’estate e che le inadempienze del governo stanno gonfiando. Non senza contraddizioni, perché l’assistenzialismo non si pratica allo stesso modo al Nord e al Sud. Questo equivoco si è sciolto. Le pulsioni assistenzialiste al Sud hanno trovato in Fratelli d’Italia uno sponsor più tradizionale e più affidabile della Lega ex-Nord. D’altronde la riscoperta dello Stato nazionale, al Sud, significa esattamente questo: flusso di denaro assistenziale, dilatazione dell’impiego pubblico, moltiplicazione degli insegnanti, via Covid-19. Al Nord non si possono alimentare le stesse rivendicazioni. Ritorna fuori la vecchia anima “sociale” di Alleanza nazionale, che a sua volta ha ereditato l’assistenzialismo laurino e democristiano. Quanto a Forza Italia, il fallimento del governo liberale risale al 2001-2006. Da allora Berlusconi ha galleggiato tra sovranismo leggero e europeismo tiepido, finché il suo liberalismo esangue si è ridotto all’osso, spolpato dal M5S, dalla Lega e da Fratelli d’Italia.
Poi ci sono Renzi, Calenda, Bonino, Bentivogli…
Ai margini si agitano Renzi, Calenda, Bonino, Bentivogli, che fanno circolare umori, idee e velleità di riformismo di governo. La loro somma non supera, almeno nei sondaggi, il 10%. Riflettono la presenza di minoranze liberali della società civile, di cui quella di Carlo Bonomi di Confindustria appare la più esigente, dopo gli anni della Confindustria meridionalizzata e filo-grillina di Giancarlo Coccia. Minoranze liberali: unite dall’idea che solo lo sviluppo delle forze produttive umane è condizione di libertà, di giustizia e di eguaglianza; che solo in uno Stato di autonomie forti e responsabili, nel quadro dell’Unione europea, tutto ciò sia più facilmente realizzabile; che i poteri della Magistratura vadano ricondotti nei confini della normalità liberale e costituzionale.
In ogni caso, questo è il quadro che sconsolatamente si presenta del Paese legale e del Paese reale, che scivola lentamente lungo l’asse del declino di civiltà, che il Covid ha ulteriormente accorciato.
Le prospettive. Poche e incerte
C’è scampo? Un prima contingente risposta di speranza potrebbe arrivare da un’unificazione di uomini e forze, che attualmente sono prigionieri delle proprie storie o peggio del proprio narcisismo. Non si tratta certo di una patologia psichica, quanto del riflesso passivo di istituzioni che privilegiano la dimensione-partito rispetto a quella del governo e di leggi che favoriscono la frammentazione proporzionale e premiano la scomposizione individualistica. Alla fine, sono le istituzioni che selezionano gli uomini, i politici e i cittadini. Decenni di governi deboli hanno selezionato una politica a frammenti e una cittadinanza corporativa.
Ma ciò che resta decisiva è la coscienza dell’insopportabilità ulteriore di questa condizione. Di lì si può partire per costruire una proposta coraggiosa e coerente di un Paese diverso.
La storia dell’opinione pubblica ed elettorale dell’ultimo decennio autorizza a pensare che laddove si presenti un programma coraggioso e controcorrente, esso può conquistare la scena. Dal Berlusconi del 1994, al M5S del 2013, al PD delle elezioni europee 2014, alla Lega delle elezioni europee 2019, a Fratelli d’Italia degli attuali sondaggi, la storia del consenso è storia di montagne russe, che si possono salire e discendere precipitosamente. L’ottimismo della volontà è essenziale, se sorretto dall’intelligenza della ragione applicata.