“Nella tentazione: indurre o abbandonare?” Il Padre Nostro nel nuovo messale

Roma 14-9-2020 Conferenza Episcopale Nuovo Messale Ph: Cristian Gennari/Siciliani

Nel volume “Nella tentazione: indurre o abbandonare” (Tau Editrice 2020, Collana “Logos”, pp. 254, 15,00 euro) l’autore, teologo laico dell’Arcidiocesi di Palermo Giuseppe Costa, scrive alcune “Riflessioni sulla nuova traduzione italiana del Padre Nostro”, come recita il sottotitolo del testo, preghiera che abbiamo imparato da piccoli al catechismo e della quale è entrata in vigore la nuova versione dal 29 novembre, prima domenica d’Avvento. 

La nuova edizione italiana del Messale Romano, curata e approvata dalla CEI, comprende anche la nuova versione del “Gloria a Dio”: durante l’atto penitenziale, si dirà: “Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle…”, poi: “e supplico la beata sempre Vergine Maria, gli angeli, i Santi e voi, fratelli e sorelle…”; si dirà Kýrie eléison e Christe eléison invece dell’italiano Signore pietà, e Cristo pietà; al momento del Gloria, che si omette durante l’Avvento, si dovrà dire: “Pace in terra agli uomini, amati dal Signore” e non più “agli uomini di buona volontà”; nel rito della comunione il sacerdote dirà: Ecco l’Agnello di Dio, Ecco Colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello. 

“Scambiatevi il dono della pace” sostituisce “scambiatevi un segno di pace”, e la nuova formula del congedo al termine della Messa: “Andate e annunciate il Vangelo del Signore”. 

«Il Padre nostro è l’unica preghiera che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli, “è il Vangelo nel vangelo” che unisce gli uomini a Dio, in una perfetta ed evangelica relazione», scrive l’autore in un dei passi più sentiti del volume.

Abbiamo intervistato il professor Costa, nato a Palermo nel 1984, docente invitato presso la Scuola Teologica di Base “San Luca Evangelista” di Palermo, per farci spiegare le principali modifiche della nuova versione del “Padre Nostro”, fortemente sollecitata da Papa Francesco, che è già stata adottata anche da altre conferenze episcopali nelle loro rispettive lingue.

Prof Costa, il versetto del “Padre Nostro”: “Non indurci in tentazione” diventa “non abbandonarci alla tentazione”. Una modifica che riguarda sostanzialmente la traduzione dal testo originale in greco antico, oppure “non ci indurre in tentazione”, era frutto di annose discussioni sul suo senso che risultava “stonato”?  

«La modifica del versetto del “Padre Nostro” ha sicuramente smosso le acque ecclesiali sotto tutti i punti di vista, sia per quanto riguarda le correnti un po’ più tradizionaliste sia per la gente che è abituata a pregare con le classiche parole in italiano e adesso si è trovata un po’ spiazzata. Nella mia comunità parrocchiale dove faccio servizio, ho notato che le persone anziane erano quelle più propense ad adattarsi al cambiamento, forse perché si ricordano di quando si è passati dal latino all’italiano, quindi sono già abituate all’idea che si possa passare da una formula a un’altra. Qualcuno ha pensato che questo cambiamento sia una stonatura nella preghiera. La traduzione della CEI non è una traduzione letterale, ma ha cercato di dare una traduzione al senso di alcune parole della preghiera del “Padre Nostro”, che nella traduzione precedente non erano sbagliate, ma potevano essere travisate. L’espressione “indurre” in italiano ha una sfumatura un po’ negativa, quasi di istigazione a compiere qualcosa. Cosa che invece in greco e in latino non ha». 

In parole povere: a chi chiedevamo di “non indurci in tentazione”?

«Anche nella precedente traduzione lo chiedevamo sempre al Padre, il testo che noi usiamo del “Padre Nostro” è del Vangelo di Matteo. Abbiamo tre tradizioni del “Padre Nostro”, una è Matteo, una è Luca e una si trova in uno scritto dei primi cristiani. Tre testi diversi della preghiera del “Padre Nostro”, quello che noi usiamo dal punto di vista liturgico è quello della tradizione di Matteo. Gesù nel Vangelo di Matteo dà una rivelazione particolare del Padre: come colui che si prende cura. Quella preghiera va collocata all’interno di quel contesto. Noi chiedevamo a questo Padre di rimettere i nostri debiti e sempre a questo Padre chiedevamo di non indurci in tentazione. Molti esegeti collegano questo penultimo rigo a all’ultimo rigo, quindi “non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male”. Quindi, per una corretta interpretazione di questa frase, è opportuno ricordare a chi ci rivolgiamo, cioè al Padre che Gesù ci ha rivelato, che non è un padre di vendetta, ma un Dio che cerca la pecora smarrita. Importante anche l’altro rigo, chiediamo al Padre non solo di “non indurci” e di non farci cadere dentro la tentazione, ma di strapparci da colui che è causa di quella tentazione, cioè il Maligno. Per tentazione Matteo intende la prova suprema, dove c’è qualcuno che cercherà di strapparci da questo Padre. In quel momento noi chiediamo al Padre di non farci inondare dalle moine di chi ci vuole separare da Lui». 

Dopo il “rimetti a noi i nostri debiti” si dovrà aggiungere “come anche noi li rimettiamo” ai nostri debitori. Che cosa cambia con quel “anche”?

«La versione latina lo ha questo “anche”, che la traduzione precedente in italiano invece aveva tralasciato. Quel “anche” ci compromette, in un certo senso, perché noi siamo chiamati a perdonare i peccati, i debiti, così come anche Dio li ha perdonati a noi. Quindi “anche” noi ci dobbiamo comportare come Dio si comporta con noi. Sicuramente da questo punto di vista la preghiera del “Padre Nostro” può essere giudicata come una preghiera molto compromettente per chi la dice. A meno che non venga usata come la solita cantilena, diciamo un “Padre Nostro” e tutto è finito. Ognuna di quelle parole ha un peso e la preghiera va tradotta nella vita di ciascuno. Quel “anche” ci compromette, perché siamo portati a chiedere egoisticamente a Dio un trattamento per noi, che poi noi non riversiamo nelle persone che abbiamo accanto. Il “Padre Nostro” non è una preghiera di intimità, tra me e Dio, è una preghiera tra un popolo che insieme si rivolge a un Padre. Fateci caso, è tutta al plurale: liberaci dal male, ecc… Una preghiera non del singolo, ma dell’intera comunità che si rivolge al Padre». 

Questa decisione dei Vescovi italiani ha incuriosito molti. È vero che c’è stato chi, mosso da perplessità, ha cercato di documentarsi per capire di più e chi invece, senza utilizzare alcun processo di giudizio ha esclamato: “Dirò come ho sempre detto!”? 

«Sì ci sono molte perplessità, la maggiore è di essere gelosi del passato in maniera morbosa. Noi consideriamo la tradizione come un museo, più che un giardino, queste non sono parole mie, ma di Papa Giovanni XXIII. La tradizione in realtà è custodire un fuoco, che sempre si alimenta. Pensiamo che tradizione sia congelare, conservare, mantenere intatto tutto. Ma se fosse così, ciò che noi manteniamo intatto, morirebbe. Invece la tradizione è mantenere vivo nel tempo, nello spazio, nelle culture e nelle persone l’unico messaggio del Vangelo, l’unico deposito della dottrina. Per far questo dobbiamo per forza adattare ciò che tramandiamo nel tempo, nella storia e nello spazio. Tante volte noi restiamo ancorati a delle abitudini, più che alla tradizione». 

“Questa preghiera contiene tutte le richieste possibili: È impossibile pronunciarla una sola volta, concentrando su ogni parola tutta la propria attenzione, senza che un mutamento reale, sia pure infinitesimale, si produca nell’anima”. Forse il commento più bello al “Padre Nostro” l’ha dato Simone Weil, frase citata nel testo. Che cosa ne pensa? 

«Sicuramente ha una connotazione particolare anche grazie alle sfumature che la Weil ha dato alla traduzione, che lei stessa ha fatto, certo anche frutto dell’esperienza personale di sacrificio e di sofferenza fisica della filosofa, mistica e scrittrice francese. La Weil nella prima metà del Novecento anticipa la traduzione del “Padre Nostro”, che la CEI farà soltanto nel 2008». 

La nostra epoca è attraversata da un clima di assenza del concetto di padre ed è in atto una vera e propria crisi della figura paterna, il “Padre Nostro” ha acquisito oggi una maggiore forza, ed è una preghiera sempre attuale?

«Sì, è attualissima, è sempre stata attuale. Nella nostra epoca resta attuale, perché abbiamo fatto scomparire il concetto di paternità, ma inconsciamente ricerchiamo la figura paterna che è l’anello mancante che ci permette di essere ricongiunti con il nostro momento originario. Noi veniamo dal Dio rivelato da Gesù che è un Padre». 

Il libro liturgico viene adottato in un momento nel quale le celebrazioni vedono ridurre il numero dei fedeli e la partecipazione è condizionata dalle limitazioni agli spostamenti, insieme a una larga preoccupazione. Il nuovo Messale è segno di speranza nella pandemia? 

«Sì, la liturgia in sé è sempre una forma di speranza, quando noi celebriamo, celebriamo dei cieli nuovi e delle terre nuove che attendiamo. Quando celebriamo abbiamo sempre uno spaccato escatologico, non guardiamo i nostri piedi, ma il cielo che ci attende. Ci raduniamo in comunità all’interno di una parrocchia, noi cristiani non possiamo pensare a un tempo che sia fuori dalla speranza che Dio ci ha dato. Anche la pandemia. Dio scrive sempre dritto nelle righe storte della nostra storia e ci auguriamo che lo faccia anche adesso, con i Suoi modi, che tante volte sono misteriosi, perché non li sappiamo leggere nell’immediato. Il fare di Dio è silenzioso e misterioso, ci auguriamo che i cristiani riscoprano il senso di celebrare grazie alla nuova edizione del Messale che diventa un trampolino di lancio per rilanciare nelle comunità cristiane il senso della parola liturgica. Riscoprire la liturgia come momento essenziale. Sembra un paradosso, che nel momento in cui la liturgia chiede ai cristiani di radunarsi per fare eucarestia, ci siano tante limitazioni, restrizioni, paure, paure anche dell’altro. Guardare l’altro come un untore. Ma la paura si può cavalcare e farla diventare momento di crescita. Ma se la paura è fomentata dall’odio, diventa ancora più pericolosa». 

Padre nostro che sei nei cieli
sia santificato il Tuo nome
venga il Tuo Regno
sia fatta la Tua volontà
come in cielo così in terra.
Dacci oggi in nostro pane quotidiano
rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo
ai nostri debitori
non abbandonarci alla tentazione
ma liberaci dal male.