Vent’anni dopo l’11 settembre. Mario Calabresi: “L’inizio di un secolo di incertezza, dagli attentati alla pandemia”

New York anniversario degli attentati alle Torri Gemelle

Accendere la televisione un primo pomeriggio di inizio autunno di vent’anni fa, assistere a scene sconvolgenti, che mai avremmo creduto o solo pensato di vedere, come un aereo che buca a metà una delle due Twin Towers di New York, simbolo dello skyline della Grande Mela, e poco dopo l’altra, mentre Televideo scrive a caratteri cubitali:

Quel titolo: “America sotto attacco”

L’impensabile è avvenuto, gli Stati Uniti hanno subito un attacco sul loro stesso territorio, fino a quel momento, invincibile e imprendibile.

Che cosa era accaduto? Nel giorno 11 settembre di vent’anni fa, esattamente alle 14.45 ora italiana, quattro aerei di linea, appartenenti a due delle maggiori compagnie aeree statunitensi, la United Airlines e l’America Airlines, vennero dirottati da 19 terroristi appartenenti alla formazione di al-Qaida. Due di questi aerei si schiantarono contro le due Torri Gemelle del World Trade Center di New York. Un terzo aereo, il volo American Airlines 77, fu fatto schiantare contro il Pentagono, sede del Dipartimento di Difesa, nella contea di Arlington in Virginia. L’attacco terroristico comportò, un’ora e 42 minuti dopo lo schianto dei primi due arei sulle Torre Gemelle, il crollo di queste. Un quarto aereo, il volo United Airlines 93 venne fatto inizialmente dirigere verso Washington ma precipitò successivamente in un campo nei pressi di Shanksville in Pennsylvania a seguito di una eroica rivolta dei passeggeri. Il piano venne organizzato e messo in pratica da un gruppo di terroristi aderenti ad al-Qaida.

Quasi tremila vittime: un monumento per ricordare

Il crollo delle Torri Gemelle a New York provocò la morte di 2.752 persone, tra queste 343 vigili del fuoco e 60 poliziotti. Ora al posto delle Torri ci sono due piscine, che misurano 4.000 metri quadrati ciascuna, che simboleggiano il vuoto lasciato dagli attacchi e ricordano le vittime. I nomi sono scritti lungo i bordi delle due piscine.

Per ricordare quel giorno, lo stato d’animo che pervase chi allora c’era e l’attuale drammatica situazione in Afghanistan, abbiamo intervistato il giornalista e scrittore Mario Calabresi, già direttore dei quotidiani “La Stampa” e “Repubblica”, vent’anni fa inviato speciale negli States per il quotidiano torinese per raccontare ai lettori gli avvenimenti dopo gli attentati.

Dove si trovava l’11 settembre 2001 e che cosa provò vedendo il crollo delle Torri Gemelle, edificio simbolo della potenza e del fascino di Manhattan e dell’America? 

«Mi trovavo a Roma ed ero a pranzo con l’ambasciatore italiano presso le Nazioni Unite. Squillò il mio cellulare e appresi che un aereo era finito nella Torre nord del World Trade Center. Subito informai l’ambasciatore di questo fatto incredibile. Lui disse che non era possibile, sicuramente si trattava di un piccolo aereo da turismo. Chiamai il giornale, allora lavoravo a “La Stampa” e chiesi informazioni sull’aereo, mi risposero che era un aereo di linea. L’ambasciatore, che viveva a New York, appariva ancora incredulo. Il diplomatico iniziò a chiamare la moglie. Invano, non prendeva la linea. Dopo un po’ di tempo, squillò nuovamente il mio cellulare: appresi che un secondo aereo si era infilato nella Torre sud del World Trade Center. L’ambasciatore, agitatissimo, a questo punto se ne andò. Quando arrivai in redazione, capii tutto. Prima del Covid, l’attacco alle Torri gemelle è stata la cosa più incredibile che ci è capitata di vedere. Non riuscivo a crederci, perché l’evento tragico era inimmaginabile. La mattina dopo ero in partenza per New York inviato da “La Stampa”. Rimasi due giorni e due notti all’aeroporto di Londra in coda, perché i cieli erano chiusi. Sono riuscito a salire sul primo aereo che ha attraversato l’Atlantico quando i cieli sono stati riaperti. New York era completamente deserta, non c’era nessuno, tutti i turisti erano scappati, la Quinta Strada era deserta. La cosa più terribile era l’odore, e quel fumo acre e denso che si attaccava alla gola. Per la prima volta nella mia vita vidi la gente che portava le mascherine, perché senza non si riusciva a respirare».

11 settembre 2001. L’attacco terroristico agli Usa è un evento che è entrato nella memoria collettiva dell’intera umanità e nei libri di storia. Fu una vera e propria dichiarazione di guerra? 

«Fu la dimostrazione che il terrorismo islamico era in grado di colpire al cuore i simboli dell’America, del potere americano. Infatti secondo me, fu proprio in quel momento che iniziò questo secolo conosciuto da noi fino a oggi come un secolo di incertezza. L’11 settembre, la crisi economica, la pandemia da Covid – 19, sono tre momenti di grande incertezza».

Dieci anni fa la morte di Osama bin Laden, principe del terrore e leader di al-Qaida,   ucciso da un commando dei Navy Seals ad Abbottabad in Pakistan il 2 maggio 2011 sotto la presidenza Obama. Una delle prime frasi di George W. Bush Junior fu: “Non faremo distinzione tra i terroristi e chi li protegge”. Sbaglia chi parla di “scontro tra civiltà”? 

«Dobbiamo ricordarci sempre una cosa: in questi vent’anni la stragrande maggioranza di morti per atti di terrorismo sono stati nei paesi islamici. In Iraq, Afghanistan, Siria, Nord Africa, Pakistan. Quindi parlare di “scontro di civiltà” è una esemplificazione. C’è stato uno scontro tra ideali, democrazie, un modo di vivere da un lato e l’estremismo dall’altro».

La guerra in Afghanistan fu la prima risposta degli Stati Uniti all’attentato alle Torri Gemelle. Vent’anni dopo le truppe americane si sono ritirate dall’Afghanistan e i talebani hanno ripreso il potere. Quello che sta accadendo in quel Paese è sotto gli occhi di tutto il mondo. Dove ha sbagliato, se ha sbagliato, il democratico Joe Biden, Presidente degli Stati Uniti d’America? 

«L’esito non poteva che essere quello: gli Stati Uniti non potevano rimanere lì con le truppe per sempre. È sbagliato il modo del ritiro. C’è stato un senso di fretta, di abbandono, e tutto è venuto giù. Se si fosse fatto un tipo di uscita più “morbida”, le scene che abbiamo visto, come le migliaia di persone ammassate fuori dai cancelli dell’aeroporto di Kabul che speravano di poter entrare, per non parlare di alcuni fuggitivi che hanno deciso di aggrapparsi ai carrelli e alle ali degli aerei, si sarebbero potute limitare».

Che tipo di America è quella che si appresta a celebrare i vent’anni dal drammatico 11 settembre, costretta a combattere contro un nemico invisibile, l’infezione da SARS-CoV-2? 

«Rispetto a vent’anni fa la società americana è progredita moltissimo. Però c’è un pezzo di società statunitense che invece è rimasta spaventata e traumatizzata e che ritiene che l’America si debba chiudere, e ha visto in questo senso la presidenza Trump come una speranza. È quel tipo di America terrorizzata che ha visto la pandemia come un complotto, le mascherine e il vaccino un obbligo e che ha assaltato il Campidoglio degli Stati Uniti d’America il 6 gennaio 2021».