Memorie della pandemia. La storia di Wuhan e dei “Diari da una città chiusa”

Whuan_Fang Fang

Ho terminato in questi giorni la lettura di un libro decisamente interessante, Wuhan. Diari da una città chiusa, edito nel 2020 da Rizzoli.

L’autrice è la poetessa e scrittrice Fang Fang, che nei suoi romanzi è solita descrivere la società di Wuhan, la città che abita, scrivendo della vita dei lavoratori nelle fabbriche e degli intellettuali della classe media.

Questa volta, però, Fang Fang non ha scritto un romanzo, ma un vero e proprio diario, una rendicontazione precisa e quotidiana del reale. La città di Wuhan, la prima città cinese colpita dal Coronavirus, ha vissuto, nei primi mesi del 2020, sessantasei giorni di quarantena.

Sessanta giorni di quarantena. Per non dimenticare

Durante questo lungo tempo, quotidianamente, per sessanta giorni, Fang Fang, con fedeltà e precisione, ha descritto quanto accadeva: stando chiusa nella sua casa, in costante contatto con i vari enti della città e, soprattutto, con i molti medici che conosce, ha costruito una cronaca dettagliata di quanto avveniva in Cina e, soprattutto, nella sua città.

Il racconto è impressionante, perché descrive proprio la vita nelle sue declinazioni più pratiche. La scrittrice si sofferma sui gruppi di aiuto nati per la distribuzione della spesa nelle case, spiega la modalità di acquisto online dei beni di prima necessità, che in quei giorni ha visto uno sviluppo importante della sua struttura, mette in luce le difficoltà legate alla tenuta psicologica sua e della gente con la quale è in contatto nel lungo tempo di totale chiusura della città.

Fang Fang dimostra una capacità introspettiva decisamente notevole e descrive le reazioni più profonde dei parenti di quegli uomini e quelle donne che, morti negli ospedali colmi di malati, con i medici ancora impotenti perché di quel virus non sapevano nulla, ricevevano la notizia della morte dei loro cari e della loro avvenuta cremazione.

Le vittime di Wuhan: tutto ciò che resta è un cellulare

Tutto ciò che rimaneva di quelle persone era il cellulare, che non poteva essere posto nel forno crematorio. Di estremo interesse, poi, è l’insistenza con la quale la scrittrice afferma con forza la necessità che tutti, politici e dirigenti in primis, si assumano la responsabilità di quanto accaduto e si dimettano.

Più volte domanda, nel suo diario, perché, se già si sapeva a inizio gennaio della pericolosità del virus, non si è detto nulla alla popolazione e nemmeno ai medici; anzi, qualche giovane medico, poi morto a causa dell’infezione da Covid-19, è stato messo a tacere perché considerato pericoloso, per il solo fatto di aver raccontato ciò che vedeva in ospedale.

Fang Fang implora giustizia, perché non fare giustizia, riporta più volte tra le righe del suo scritto, significa dimenticare le migliaia di vittime e i loro famigliari.

La poetessa cinese si trova anche, lo afferma lei stessa, a far fronte a migliaia di haters, che la minacciano, la insultano e cercano di fermare questo suo scritto quotidiano, bloccandole gli accounts sui social che utilizza per pubblicare, tanto da costringerla a chiedere ospitalità sulle bacheche online di amici.

La questione delle responsabilità attraversa i confini

Non ha paura Fang Fang, dice e scrive la verità, perché la gente deve conoscerla: “il virus è il nemico comune del genere umano; è questa la lezione. L’unico modo per liberarci dalla sua morsa è farlo tutti insieme”.

Nel leggere questo diario di 380 pagine, si prova un’emozione profonda e un senso di dolore: in fondo, pensavo nel leggere, Fang Fang ha descritto qualche mese prima a Wuhan quanto, un paio di mesi dopo, abbiamo vissuto anche noi a Bergamo, nel nostro paese e negli altri paesi del mondo.

Sorge spontanea la domanda: avessimo letto subito, quasi in diretta, ciò che accadeva in Cina, dando peso e non considerando eventi lontani e per noi poco interessanti i drammi che là si vivevano, avremmo potuto evitare, almeno in parte, tanta sofferenza?