Il progetto Casa di Case. Per fare famiglia occorrono reti

“Per fare famiglia occorrono reti”. È questo lo slogan scelto dalla cooperativa AEPER per il progetto Casa di Case. Una riflessione sul ruolo della famiglia e della comunità che ha portato alla nascita di un progetto ambizioso, dove la fraternità e l’accoglienza vengono incarnate dentro un’esperienza di vita vissuta. Un progetto generativo, che ha preso forma concreta da pochi mesi ma affonda in realtà le sue radici nel passato.

“Il progetto di Casa di case nasce circa sette anni fa, dalla sinergia tra un gruppetto di famiglie e la Comunità Nazareth, una comunità che vive insieme già da qualche anno – spiega Giambattista Maffioletti, una delle persone coinvolte in prima persona nel progetto -. Nasce con l’idea di costruire un’esperienza di fraternità: alcune famiglie che possano vivere vicine, pur dentro appartamenti diversi, ma liberando energie per l’ospitalità di altre persone: coppie, famiglie o persone singole”.

Una duplice attenzione da maturare dentro la propria vita famigliare: le relazioni interne, tra le famiglie che scelgono questa condivisione forte, e le relazioni esterne, con un’apertura all’ospitalità di fronte alle necessità che si presentano.

Il progetto è diventato realtà al Pitturello, a Torre de Roveri. “È stato costruito un nuovo edificio, attiguo e collegato ad un altro preesistente. Ci sono tre appartamenti per famiglie che risiedono qui e altri quattro (tre bilocali e un monolocale) per l’ospitalità. L’edificazione è terminata a fine 2020, abbiamo poi completato noi gli altri lavori, come la posa degli zoccoli e la tinteggiatura degli ambienti”.
Adesso due famiglie, tra cui quella di Giambattista, vivono qui, condividendo alcuni momenti. E hanno iniziato subito anche una prima esperienza di ospitalità. “Da due mesi e mezzo circa vive qui con noi una ragazza che proviene dai corridoi umanitari universitari: viene da un campo profughi etiope. Si trova qui a Bergamo per frequentare i due anni di laurea magistrale, in un progetto sostenuto da Caritas nazionale, ONU, chiesa valdese e Università di Bergamo”.


Sono i primi passi di un progetto che guarda avanti e sogna in grande. “Nonostante l’età di qualcuno di noi, siamo neonati, ma abbiamo sicuramente l’idea di andare avanti e allargare l’ospitalità, anche ad alcune famiglie in difficoltà, sempre in collaborazione con Caritas e gli altri enti”.
Casa di case non si propone come esperienza professionale. “Non è un servizio, ma un’esperienza fondata sulla quotidianità. L’associazione nasce dal connubio fra alcuni nuclei famigliari e comunità Nazareth, ci sono anche persone che non abitano qui ma collaborano con forme di vicinanza e attenzione, perseguendo il duplice obiettivo della fraternità e dell’ospitalità”.

Un’esperienza di vita che ha mostrato sin da subito i suoi aspetti prodigiosi. “Le fatiche di questo primo periodo sono legate soprattutto alle pratiche dell’associazione e al sostentamento economico della proposta. Nella vita famigliare i passaggi critici ci sono, come in ogni convivenza, ma a livello di relazioni si sta generando qualcosa di molto interessante: la possibilità di incrociarsi e di maturare possibilità libere di solidarietà e di attenzioni reciproche”.