“Preti e laici antifascisti perché cristiani”. Un libro di Mario Pelliccioli

Un particolare della copertina del volume

«Preti e laici antifascisti perché cristiani». È la sintesi del volume, fresco di stampa, «Cattolici e fascismo. Resistere nella tormenta» (Achille Grandi editore, pp. 170).

Un’opera, voluta da Acli Bergamo, che getta luce sul loro impegno a largo raggio in quei drammatici frangenti. Infatti, la storiografia deve ancora lavorare molto per raccontare l’impegno dei cattolici (laici, sacerdoti, religiosi, religiose) negli anni del fascismo e nella Resistenza.

La copertina del volume

La storiografia ufficiale infatti continua a relegarla in spazi angusti, quasi che la lotta partigiana e l’opposizione al regime fosse esclusiva delle forze di sinistra.

Autore del libro è Mario Pelliccioli, già docente di Lettere al Vittorio Emanuele e poi al Lussana, oltre a essere socio delle Acli e dell’Anpi provinciale.

La prefazione è curata dallo storico monsignor Goffredo Zanchi, che si dice sempre più convinto che la Resistenza abbia influito in modo profondo non soltanto nella società civile, ma anche nella coscienza ecclesiale.

Zanchi ricorda come i cattolici, agli inizi, anche i sacerdoti, furono contagiati e accondiscendenti con il fascismo, soprattutto dopo il Concordato del 1929.

«Ma non si resero conto — scrive nella prefazione — delle incoerenze con il messaggio evangelico».

“I preti divennero antifascisti proprio perché cristiani”

Le simpatie cominciarono palesemente a declinare dopo il duro scontro con lo Stato che pretendeva il monopolio dell’educazione e che poi — aggiunge monsignor Zanchi — «condusse un Paese riluttante all’avventura di una nuova guerra. E i preti divennero antifascisti proprio perché cristiani».

Lo stesso Vaticano si rese conto dell’inconciliabilità del fascismo con i principi cristiani. Nel libro, l’autore ammette che nella Resistenza bergamasca «la presenza dei cattolici è stata sicuramente inferiore alle altre forze politiche, ma non per questo fu priva di significato».

L’autore, di quei frangenti, quindi analizza la figura e l’opera in prima linea di alcuni protagonisti: quattro sacerdoti (Angelo Giuseppe Roncalli, Achille Bolis, Agostino Vismara, Antonio Milesi) e quattro laici (Betty Ambiveri, Vittorio Gasparini, Mario Zeduri, Fortunato Fasana). 

Preti impegnati nel sociale come don Bepo e don Agostino Vismara

In pratica, il 25 per cento del clero bergamasco ha svolto una parte fondamentale nel sostegno e nell’aiuto a ebrei, perseguitati politici e combattenti sulle montagne.

I preti antifascisti erano una minoranza, tutti simpatizzanti dei Popolari di don Sturzo e molto impegnati nel sociale, ma fra loro spiccano nomi illustri e stimati, come don Bepo Vavassori, fondatore del Patronato San Vincenzo.

E ancora don Agostino Vismara, anima dell’Opera Bonomelli; don Virgilio Teani, curato di Romano, dove venne selvaggiamente picchiato; don Antonio Milesi, curato di Villa d’Almè, che divenne capo di una formazione partigiana.

Poi don Eugenio Noradino Torricella, segretario del Partito popolare per un anno e mezzo, don Franco Carminati, curato di Grumello del Monte, attivo sindacalista e direttore dell’Ufficio diocesano del lavoro (1914-20); don Piermauro Valoti, direttore de L’Eco di Bergamo, poi costretto a lasciarne la direzione.
C’erano i parroci Francesco Garbelli di Santa Caterina, Agostino Musitelli delle Grazie e Francesco Vistalli di Sant’Alessandro in Colonna, Achille Bolis di Calolzio, quest’ultimo tradotto nelle carceri milanesi di San Vittore dove morì dopo essere stato percosso.

L’arcivescovo cardinale Idelfonso Schuster pretese la salma e fece celebrare i solenni funerali a Milano. Una settantina i sacerdoti schedati dalla polizia. Il futuro Papa Giovanni, in una lettera ai famigliari alla vigilia delle elezioni del 1924, scrisse: «Votare per i fascisti io non me la senso in coscienza di cristiano e di sacerdote».