Carmela Del Sordo coltivava da tempo il pensiero di mettersi in viaggio per un’esperienza missionaria. Dopo aver ascoltato i racconti di chi l’aveva già vissuto, nel 2019 ha deciso di provarci davvero.
“Ho 47 anni, vengo da Costa di Mezzate e lavoro come consulente del lavoro da libera professionista – inizia a raccontare -. Per concretizzare questo mio desiderio è servito innanzitutto renderlo compatibile con l’impegno economico e lavorativo. Ho cominciato a cercare delle associazioni che mi permettessero di partire, ho trovato quasi per caso il Centro Missionario e, dopo un primo colloquio, la mia richiesta è stata accolta”.
All’opera in un centro per bambini disabili
Così nell’autunno 2019 Carmela inizia il percorso di preparazione alla partenza. “Con l’arrivo della pandemia il viaggio viene rimandato e sono riuscita ad andare solo quest’estate – prosegue Carmela -. Il mio desiderio è sempre stato andare in Africa: mi affascinava provare a sentirmi straniera tra gli africani, ribaltando la situazione che si vive in Italia”.
Insieme a due ragazze di 20 e 25 anni, Laura e Cecilia, Carmela è stata in Ruanda, nel paesino di Nkanka, sul confine con il Congo. Qui hanno operato in un centro per bambini disabili.
“Ogni giorno ci alzavamo alle 6.30 perché alle 7.30 al centro arrivano i primi bambini. Per me questo è stato il primo confronto con la disabilità: pensavo sarebbe stato più difficile, ma il fatto che fossero bambini ha reso tutto più facile. Giocavamo, disegnavamo e facevamo attività con loro, fino al pomeriggio alle 16. Mi ha colpito molto sapere come grazie alle attività di fisioterapia molti bambini che un tempo non camminavano siano riusciti a muovere i loro primi passi”.
Le tre settimane in Ruanda, dal 10 agosto al 1° settembre, sono state anche un’occasione per visitare un paese che si è rivelato ricco di tesori da scoprire.
Il paese dalle mille colline
“La missionaria Consuelo, che ci ha ospitato, ci ha permesso anche di visitare il paese. La Ruanda rappresenta un’Africa anomala: è conosciuto come paese dalle mille colline; ci sono molte coltivazioni, la temperatura è mite, anche perché eravamo a 1.500 metri di altitudine. Le strade sono per lo più sterrate, nel paesino dove stavamo non c’era asfalto, ma i paesaggi sono spettacolari. Girando nei vari quartieri cercavamo di instaurare un contatto con i bambini: era interessante vedere come alcuni fossero molto espansivi, altri più riservati, a seconda delle zone”.
Il rientro a casa è sempre caratterizzato da un arricchimento profondo. “Sembra banale, ma è proprio vedere che ci si rende conto di quanto siamo fortunati noi. Un bimbo disabile in Africa ha pochissime possibilità di essere curato e accolto: in quel contesto la disabilità è ancora tabù. Anche il ritorno al lavoro mi ha visto cambiata. Occupandomi di assunzioni per conto delle aziende, mi capita spesso di relazionarmi con persone extracomunitarie: nella mia testa ora rifletto sempre su quale sia il suo background, cosa l’abbia spinto a spostarsi. Vedere altre realtà ti dona una grande curiosità di sapere”.