Alessandro Manzoni dietro le quinte, Marina Marazza: “Uomo geniale, sensibile e complicato”

Ritratto di Alessandro Manzoni di Francesco Hayez (particolare) Pinacoteca di Brera

Il 2023 è l’anno dedicato ad Alessandro Manzoni, perché ricorre il 150esimo anniversario della scomparsa dello scrittore, poeta e drammaturgo lombardo (Milano 7 marzo 1785 – 22 maggio 1873). 

Per celebrare questo importante anniversario Marina Migliavacca Marazza ha scritto “Le due mogli di Manzoni” (Solferino 2022, pp. 480, euro 19,50), dove la giornalista e scrittrice ricostruisce la personalità di questo grande italiano qui osservato dallo sguardo della sua seconda moglie, la nobildonna Teresa (Teresin) Borri Stampa (1799 – 1861). 

Abbiamo intervistato l’autrice, specializzata in tematiche di storia, società e costume, che collabora con diverse riviste tra cui “Io Donna”.

  • Enrichetta Blondel, prima moglie di Alessandro Manzoni, la più famosa e forse la più amata. Teresa Borri, già vedova Stampa, seconda moglie di don Lisander, come i milanesi chiamano il Manzoni. Quali sono le maggiori differenze tra le due donne?

«Possiamo dire prima di tutto che le due mogli che danno il titolo al mio romanzo entrano nella vita di Alessandro Manzoni in due periodi molto diversi del suo percorso esistenziale.

Il Manzoni che (grazie alla mediazione dell’immancabile mamma Giulia Beccaria) sposa una sedicenne tenera e inesperta Enrichetta Blondel è un giovanotto di belle speranze, ritratto in un cameo che ricorda molto certi portrait di Foscolo o di altri poeti dall’aura romanticheggiante. 

Enrichetta è una fanciulla perbene, non troppo colta, non bellissima, ma assai gentile e dall’aria di angioletto, e questo aggettivo di “angelica” se lo porterà per tutta la sua breve vita. Ha ben chiara la missione di una donna nell’Ottocento: far felice il marito, dargli dei figli, immolarsi completamente sull’altare della famiglia. È quel che farà, decidendo di non sottrarsi al suo destino, accettando 15 gravidanze su un corpo minato dalla tisi, con un misto di senso del dovere, di fede cieca e di amore-donazione, che la porterà alla tomba a poco più di quarant’anni.

Teresa è fatta di tutt’altra pasta: è una donna che ha già amato un altro uomo, brevemente, perché è rimasta vedova giovanissima, ma con un figlio; è colta, vivace, curiosa, oggi la definiremmo una “intellettuale”. E proprio per questo legge il romanzo del momento, I promessi sposi della ventisettana, e se ne innamora. Di più, si innamora del suo autore, come uomo. All’epoca Manzoni è ancora sposato con Enrichetta, ma poi lei muore, anche lui resta vedovo e destino vuole che i due si avvicinino, sempre per l’occhio lungo di donna Giulia Beccaria. Che c’è di meglio di una donna bella, ricca, intelligente e innamorata? Manzoni la sposa. Ma Teresa non potrà essere come Enrichetta. E nemmeno sarebbe il caso: ora lui ha bisogno di una compagna diversa…Teresa è intraprendente, indipendente, propositiva, entusiasta. Non è affatto angelica. Ma è prigioniera di una relazione tossica che, anche se lei si rende conto dei limiti oggettivi del suo compagno di vita, le impedisce di porre rimedio a una relazione ineguale, dove c’è chi ama troppo e chi troppo poco».

  • È vero che la morte di Enri­chetta segnò uno spartiacque nella fede di Manzoni?

«Sono in molti autori a pensarlo. Personalmente credo che basti leggere quel Natale del 1833, quell’incompiuto inno sacro, per capire che qualcosa dentro di lui si è spezzato. Manzoni nevrotico e mal amato, bambino dato a balia e poi chiuso in collegio, spaventato dalle asprezze della vita, ha cercato nella fede un rifugio, siglando un patto illusorio: io rispetto ossessivamente le regole della mia religione e il mio Dio mi proteggerà dal male e mi risparmierà il dolore. Ma questo non avviene e la morte di Enrichetta apre una serie infinita di lutti nella famiglia. Niente di oscuro, semplicemente le ragazze Manzoni portano dentro lo stesso tarlo della loro povera mamma, la tisi, e intorno ai venticinque anni muoiono una dopo l’altra, nel tentativo di diventare madri e mogli come il costume del tempo impone loro. Cos’è una donna se non è madre? Nessuna si sottrae a quel dovere, ammantato di poesia eroica. Le croci si moltiplicano. E Manzoni sfugge in tutti i modi, incapace di sopportarlo. Nega l’evidenza, non sopporta l’ansia, la sofferenza, la responsabilità. La fede non gli basta per tenere a bada le sue nevrosi, non è un rimedio che si può assumere come una pillola».

  • Teresa Borri, vedova del ricchissimo conte Stefano Decio Stampa, si era innamorata di Alessandro Manzoni leggendo “I Promessi sposi”?

«Esiste una lettera, da lei scritta alla madre in francese, lingua usata insieme col dialetto milanese nelle conversazioni e negli epistolari del tempo, nella quale Teresa dichiara di aver divorato il romanzo e di ritenere che l’autore di quelle pagine è fatto “suivant mon coeur”, come il mio cuore vuole. C’è un’ammirazione sconfinata, e bisogna notare che lei non è affatto una sprovveduta, conosce autori famosi e classici, legge Dante, in casa sua bazzicava Parini… ma il Manzoni scrittore la conquista e la fa proprio innamorare. Se fossimo stati ai giorni nostri Teresa si sarebbe attaccata un poster col ritratto di Manzoni in camera da letto, come le fan delle rockstar. È un amore spirituale, lei non lo conosce come uomo, non immagina chi lui sia veramente… ».

  • Dalle pagine del romanzo traspare netta la personalità di Alessandro Manzoni, genio dal carattere complicato. Ce ne vuole parlare?

«Manzoni è davvero un uomo complicato. Da piccolo non ha conosciuto amore. Suo padre non era don Pietro Manzoni, ma il cavalier Giovanni Verri. Donna Giulia da giovane ha avuto altri uomini, si è separata dal vecchio marito tanto più grande di lei, è diventata l’amante di Carlo Imbonati e solo dopo che quest’ultimo è venuto a mancare si è avvicinata al figlio, ormai grande, creando con lui un rapporto quasi morboso. Dal canto suo Alessandro, animo sensibile, intelligenza fina, ha sviluppato una serie di nevrosi. Balbettava, aveva attacchi di panico, detestava le folle, aveva una dipendenza dalla cioccolata, non era un cuor di leone, faticava a prendere decisioni e a occuparsi di cose concrete, e con grande lucidità e un certo sense of humour se lo diceva anche da solo, lo scriveva, lo rivendicava. Lui era fatto così e chi gli voleva bene lo doveva accettare in questo modo. Alla fine lo capisci, ti fa anche simpatia e tenerezza, ma di certo chi gli stava accanto non doveva avere vita facile, i suoi figli in primis: lui non sapeva fare il padre». 

  • Il matrimonio tra Teresin e Alessandro fu felice?

«Ah, bella domanda! Alessandro dichiarò più volte di essere contento al fianco di Teresa. Lei gli riempiva le giornate, gli dava entusiasmo, gli parlava addosso, gli proponeva imprese e soluzioni, spesso gli toglieva le castagne dal fuoco, anche nei casi di famiglia. E lei era diventata la sua vestale, la moglie di MANZONI che scriveva tutto maiuscolo. Ci fu una grossa intesa sessuale, Manzoni era molto carnale e probabilmente anche Teresa era molto appassionata, ci sono delle lettere in cui lui si lascia sfuggire dei piccoli dettagli che saltano all’occhio, come quando parla della scaletta segreta che collega il suo studio e la camera da letto di lei o come quando le scrive che non vede l’ora di tornare a casa e riabbracciarla “fino a farle male”. Ma di certo l’uomo vero in carne e ossa, che la Teresa innamorata dell’autore de I promessi sposi si trova accanto dopo sposata, è molto diverso da quello che lei si era immaginata… ».

  • I rapporti tra Teresa e la suocera Giulia Beccaria erano buoni?

«All’inizio donna Giulia adora Teresa che è una fan di suo figlio (e questo soddisfa il narcisismo di entrambi, suo e di Alessandro). Giulia spinge per il matrimonio con Teresa, anche perché altrimenti Alessandro, carnale com’è, potrebbe mettersi nei pasticci, dopo essere rimasto vedovo. Negli archivi diocesani c’è un documento anonimo che accusa Manzoni di aver avuto un figlio illegittimo da una ricamatrice nel 1836, dopo aver perso Enrichetta e prima di sposare Teresa. Lui ha bisogno di una donna nel suo letto, una legittima consorte. Ma quando Teresa entra in casa, Giulia capisce che non ne farà una seconda Enrichetta mite e sottomessa, e la competizione si scatena. Solo verso la fine, quando donna Giulia si ammala e muore, Teresa comprende meglio la vecchia suocera e anche il suo atteggiamento protettivo verso quel figlio, che sarà sempre e solo un figlio, mai davvero un marito o un padre. Sono due donne forti, due personalità interessantissime capaci di sostenere il tentennante Manzoni».

  • Ci descrive brevemente la Milano ottocentesca e risorgimentale nella quale si muovono i tanti personaggi del romanzo?

«È la Milano della Scala, della dominazione austriaca, del salotto della contessa Maffei e delle Cinque giornate, delle dame del biscottino schernite dal Porta e delle prime innovazioni come i lampioni a gas o il velocifero, uno sfondo vivacissimo in continuo divenire, popolato di figure leggendarie, patrioti come Amatore Sciesa, militari come Radetzky, preti innovatori come don Ratti, che sviluppa i primi asili ideati da Ferrante Aporti, femministe ante litteram come Cristina del Belgiojoso… ».

  • Per la stesura del testo quali fonti ha consultato?

«In fondo al libro listo più di 120 testi assortiti ma, a parte le biografie numerose, mi hanno guidata soprattutto fonti d’epoca, come le memorie del figlio di Teresa scritte in polemica con quelle di Cantù, la storia di lei scritta dal Flori e gli infiniti ricchissimi epistolari. Molto spesso nei dialoghi ho inserito, debitamente riaggiustate, delle frasi prese proprio dalle tantissime lettere scritte dai protagonisti, mantenendo nella scrittura il gusto di quel pastiche linguistico lombardo, un po’ francese, un po’ dialettale, che era la vera lingua madre di Manzoni, prima che decidesse di sciacquare tutto in Arno… ».

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *