Romano, al Macs un incontro per riscoprire le opere di Manzù a Bergamo

A Romano, una domenica al Macs nel segno dell’approfondimento e della divulgazione artistica. Nel pomeriggio di domenica 5 febbraio, si è tenuto, nella sala Tadini del museo, il primo appuntamento mensile «Un Artista al Mese» che, sottolinea don Tarcisio Tironi, Direttore del Macs, «ha l’opportunità di approfondire, grazie alla presenza di un esperto e all’esposizione di alcune opere» un’artista o una corrente che ha segnato la storia del nostro territorio. Per l’occasione, «nella sala Tadini, abbiamo esposto una litografia, e grazie alla generosità di Franco, altri tre lavori, tra cui un preziosissimo disegno di Manzù, realizzato a matita, per l’amico pittore Luigi Scarpati», afferma don Tarcisio Tironi.

Per questa domenica è intervenuto Claudio Rota, storico dell’arte e collaboratore con il museo non solo per le sue competenze ma anche per il suo lavoro nel sociale.

L’artista che è stato al centro di domenica scorsa è Giacomo Manzù. Nato nel 1908 e morto nel 1991, Giacomo Manzù è stato uno degli scultori più importanti del ‘900 e molto apprezzato per la sua particolare ispirazione di tipo religioso, che traspare in molte delle sue opere.

Giacomo Manzù

Per contestualizzare quest’artista, il relatore Claudio Rota ha fotografato alcuni luoghi conosciuti della città di Bergamo perché, oltre a essere stata la città natale di Manzù, sono presenti delle opere piuttosto significative. Ciò nonostante, come spiega il relatore Rota, «il rapporto di Manzù con Bergamo è stato molto travagliato perché alcune sue opere hanno ancora oggi una “collocazione provvisoria” e poi, per la sua scelta estetica di aderire a una cultura metropolitana nel suo scopo di diventare un artista nazionale e sovranazionale».

«La formazione di Manzù avviene nella prima parte del ventesimo secolo, quando si instaura nell’arte il Simbolismo». La prima opera che viene mostrata è il Monumento ai fratelli Calvi che è situata nella zona del Sentierone a Bergamo. Il monumento è stato realizzato nel 1933 da Manzù, allora venticinquenne in collaborazione con l’architetto Pizzigoni. È dedicato alla memoria dei fratelli Calvi, alpini bergamaschi che, nel corso della Prima guerra mondiale, si distinsero per aver compiuto numerosi atti di eroismo. In quel periodo, spiega Claudio Rota, «era molto importante per il nascente regime fascista celebrare la parte virtuosa delle proprie radici».  Il monumento è un parallelepipedo su base pentagonale ed è alto più di cinque metri; sui quattro lati ci sono le effigi bronzee dei fratelli e sul quinto l’immagine della vittoria. Le cinque formelle, che sono realizzate da Manzù, sono dei basso rilievi e presentano gli occhi cavi per simboleggiare l’idea dei quattro fratelli come dei miti.
«Questo monumento è uno dei lavori più importanti di ricerca e di collaborazione tra le arti», sottolinea Claudio Rota: da un lato c’è la razionalità, data dalla superficie piatta del monumento e dall’altro lato c’è la manualità e la capacità espressiva del giovane scultore Manzù.

Monumento ai fratelli Calvi, 1933

Proseguendo tra i luoghi bergamaschi alla scoperta delle sculture di Manzù, ci sono: Il Grande Cardinale Seduto realizzato nel 1984 e ubicato all’interno del cortile del Chiostro di Santa Marta, La donna che guarda e Tebe distesa nell’ovale che sono situate nel Parco della Provincia e Il Caravaggio che si trova all’aeroporto di Orio al Serio.

Un’altra scultura di Manzù presente a Bergamo è il Monumento al Partigiano del 1977. Tre anni prima, lo scultore bergamasco era stato invitato nella sua città natale per ricevere un’onorificenza; ricambiò regalando un monumento in memoria dei suoi genitori e di tutti gli eroi della Resistenza. L’opera è costituita da una grande lastra di bronzo: sul lato frontale sono rappresentati un giovane appeso a testa in giù con accanto una donna, moglie o madre sopravvissuta, che protende il braccio in un atto di pietà; sul lato opposto è invece inciso un testo poetico dello scultore (“Partigiano ti ho visto appeso immobile. Solo i capelli si muovevano leggermente sulla tua fronte. Era l’aria della sera che sottilmente strisciava nel silenzio e ti accarezzava, come avrei voluto fare io – Giacomo Manzù, 25 aprile 1977“).

Monumento al partigiano, 1977

Poi, il relatore Claudio Rota ha mostrato, attraverso una fotografia, la sedia in gesso realizzata da Manzù nel 1964 e presente alla Gamec. «Sebbene sia una “scultura fatta e finita”, quest’opera – spiega Claudio Rota – è un bozzetto che era stato pensato per una scena teatrale di Edipo Re di Stravinskij». Con questa scultura, «Manzù – aggiunge Rota – non rappresenta Edipo ma, gli strumenti che sono il simbolo del regno e del governo: l’elmo, la lancia e il mantello; Edipo senza questi è nudo, è senza il potere ed è come tutti gli uomini anche di fronte a una tragedia».

Sedia Edipo Re, 1964 di Manzù

Molto simile era la rappresentazione nella litografia esposta nella sala Tadini del Macs nella quale si può ammirare la natura morta posta su una sedia; quindi, «c’è un richiamo alle radici contadine, di una cultura di sedie impagliate, dove la classicità e la familiarità sono sullo stesso piano».

Litografia di Manzù a matita con natura morta su una sedia

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